martedì 16 dicembre 2014

Almeno una volta nella vita... di Paolo Zucca

Ricordi,esperienze, considerazioni sulla NYC Marathon
Quante volte nei discorsi di argomento più disparato che facciamo tra amici e colleghi viene inserita questa tipica frase, alludendo a desideri, aspirazioni o idee che ci portiamo dietro da quando eravamo bambini oppure riferendoci a sogni magari irrealizzabili?

Ogni anno negli ultimi giorni di ottobre, data l’imminenza dell’evento, noi podisti associamo la frase alla famosa maratona di New York.
“Ho corso tante maratone e fatto tante gare ma mi manca la partecipazione alla maratona più famosa” oppure “quando fai la maratona di New York?” e ancora “Boston è la più antica, ma vuoi mettere New York!” Così quasi tutti i presenti terminano i loro discorsi con il classico -ci andrò almeno una volta nella vita!-
Tralasciando chi con atteggiamento snobistico non si pronuncia o evita l’argomento, sta di fatto,
però, che per l’immaginario collettivo e soprattutto per noi italiani partecipare alla maratona di New York è sempre stato un sogno da realizzare prima o poi e lo testimonia il fatto che oltre 4000 persone ogni anno raggiungano gli States (siamo la nazione più rappresentata).
Così anche io nel 2004 per festeggiare la mia 30^ maratona varcai l’oceano insieme ai compagni di merende ( pardon, steak house) e qui, in breve accenno all’esperienza che ho vissuto.
Avevo già corso la maratona di Boston, la più antica e quella che richiede un tempo d’accredito per la partecipazione e quindi ero assai prevenuto su New York e tutto il business che la circonda e ancora adesso conservo diverse pregiudiziali ma, alla fine, ho dovuto ammettere che almeno una volta nella vita bisognava andare a New York.
Appena arrivi all’aeroporto capisci subito che per almeno una settimana tutto ruota attorno all’evento: è un mix di personaggi, storie, esperienze che si intrecciano e ti fanno vivere intensamente  a 360 gradi per i giorni in cui metti piede nella grande mela.
Una buona parte dei concorrenti ha scarsa dimestichezza con il mondo della corsa e questo è forse il pregiudizio che avevo e continuo a portarmi dietro. Per loro fare la maratona di New York e sottolineo il verbo “fare” e non “correre” è uno dei tanti modi per trascorrere una settimana di vacanza, come può essere l’anno seguente il carnevale di Rio o lo sballo ad Ibiza.
Mi vengono ancora in mente sul pulman che ci portava agli hotels, vari discorsi: chi non conosceva la distanza che avrebbe percorso (miglia o km?), chi avrebbe comprato in loco nuove scarpe perchè più tecniche che in Italia ed addirittura chi era convinto che un mese di preparazione fosse più che sufficiente per giungere al traguardo nei primi 1000!
Ricordo poi vip, politici, attori, vecchie glorie sensibili al richiamo di telecamere e fotografi, ma anche figure di sportivi con particolari handicap e associazioni pronte a raccogliere fondi per bambini sfortunati.

IL VERO SPIRITO DELLA NYC MARATHON

Il vero spirito dei partecipanti l’ho incontrato però appena entrato in Central Park nei giorni antecedenti alla gara, correndo intorno al famoso laghetto del Reservoir e durante la Friendship Run. Qui c’è l’universo dei podisti, il runner’s world, una coreografia di magliette, tute, abbigliamenti, scarpe e, soprattutto fisici, personaggi, falcate, andature, trascinamenti di gambe. Lì capisci quanto sia democratico questo sport: tutti sono protesi nello stesso obiettivo di ripercorrere quelle centinaia di metri tra qualche giorno al termine della maratona.
Corricchio su quei saliscendi che sembrano tanto lievi e dolci e penso che tra qualche ora saranno le erte dell’Everest. Vedo alle 7 del mattino mamme che corrono al freddo spingendo il baby jogger con due bebè e penso alle paturnie delle mie colleghe che non trovano mai il tempo per fare attività; vedo gli operai che stanno preparando le transenne e gli operatori delle varie tv che si spostano per farci passare sorridenti e vedo anche i newyorkesi che ci osservano invidiosi perché non hanno la fortuna di partecipare alla maratona, dato che l’organizzazione prevede per loro solo posti a sorteggio, preferendo privilegiar la valuta degli stranieri che, per una settimana, possono concedersi il lusso di soggiornare nella grande mela. E si perché ormai, visti i costi sempre più elevati, non tutti possono permettersi di acquistare un pacchetto completo e forse anche per questo che New York è solo per una volta. E’ proprio con questo spirito che, secondo me, si dovrebbe affrontare la trasferta oltreoceano con la volontà e la capacità di immergersi totalmente in questo mondo per poi conservarne la memoria per sempre, da raccontare ad amici e nipotini o e poter dire c’ero anche io.
Il ricordo di tutti però va sempre al giorno della maratona tanto atteso: la lunga fila di bus che ci portano alla partenza nel buio del mattino, l’attesa infinita nel prato di Fort Wadsworth con l’offerta dei muffin e dei bicchieroni fumanti di caffè, l’inno americano con gli aerei che sorvolano e poi finalmente il liberatorio colpo di cannone, seguito dalle note di New York, New York cantate da Frank Sinatra.

IL VIAGGIO TRA I CINQUE QUARTIERI DI NEW YORK

Poi Brooklyn, gli incitamenti dei paisà, ma anche il silenzio irreale ed il fiato del tuo vicino nel lungo ponte in salita di Queensborough ed il boato improvviso della folla nella curva in discesa quando t’immetti nell’ interminabile First Avenue; le manine bianche, nere, gialle e rosse di quei bambini che ti chiedono il cinque o ti porgono dei bastoncini ricoperti di vaselina che qualcuno scambia per lecca lecca; gli incitamenti nelle lingue più diverse ma anche gli sguardi indifferenti nel Bronx o i visi tristi degli ortodossi con le lunghe trecce che si trascinano i loro bimbi in quei cappottini troppo grandi ma divertiti di vederci passare ansimando.
Finalmente Central Park, ma è una finta perché ne esci subito per rientrarvi dopo qualche km quando capisci che è quasi fatta, nonostante quei tremendi saliscendi che qualche giorno prima ricordavi meno duri ed impegnativi. Svolti la curva e vedi che l’arrivo è su tre corsie, vorresti passare in quella centrale per il tuo trionfo personale ma il severo addetto ti butta in quella a destra e così un armadio canadese ti copre nel primo piano della foto. Ma che importa anche io ho corso la maratona di New York!
Il sole che si riflette sulle numerose coperte di alluminio ed il tintinnio delle medaglie al collo risplendono ancor più di gioia e soddisfazione. Una bottiglietta d’acqua e ancora un paio di chilometri per raggiungere il pulmino UBS con la mia borsa ma ormai potrei camminare all’infinito in quella condivisione di sorrisi, pacche sulle spalle e congratulations degli adetti.

UN PREMIO SPECIALE ALLCARRIEREA PODISTICA

Mentre aspetto gli altri (scoprirò poi di essere stato il primo dei 26 alessandrini presenti) vedo la gioia, le lacrime e gli abbracci di tanti sconosciuti tra di loro ma accomunati dalla realizzazione del loro sogno.
Ecco, secondo il mio parere, essere a New York dovrebbe essere percepito come un premio personale da conquistarsi magari dopo anni di militanza podistica o partecipazione a maratone meno patinate, corse sotto la pioggia o la canicola, con crampi o crisi improvvise, da soli con la propria fatica (la famosa solitudine del maratoneta)e trascinandosi all’arrivo nell’indifferenza di pochi spettatori, perché in una maratona non ci ritira mai e questo vale soprattutto per New York.
Anche se le gambe non girano per il fuso orario o per le code del giorno prima sull’Empire,anche se si corre con il freno tirato perché hai paura che il piede “sifulo”ceda sul più bello o temi per l’insorgere di una vescica ai piedi che ti impedisca di fare il crono che ti prefiggevi, non ci ritira, anche per rispetto di coloro che arrivano distrutti dopo ore e gioiscono per avere dato il massimo.
Si narra che a New York sia accaduto che podisti, infortunatisi sul percorso e trasportati all’ospedale, dopo le cure del caso si fossero fatti riportare nel punto esatto in cui erano stati soccorsi per riprendere il cammino e giungere al traguardo per prendersi la medaglia.


NEW YORK 2010:UN PROGETTO SFUMATO A BARDOLINO

Purtroppo il mio desiderio di essere nuovamente a New York per festeggiare la mia 50^ maratona ed i 50 anni è miseramente naufragato nella pioggia di un pomeriggio di fine giugno a Bardolino durante una gara di triathlon quando un concorrente, urtandomi in bici, mi ha fatto cadere rovinosamente causandomi la frattura dell’acetabolo e della branca ischio pubica. Oltre a questa partecipazione avevo in cantiere altre piccole imprese ma forse ho preteso troppo e si sa gli dei dell’olimpo puniscono  chi culla propositi troppo ambiziosi.
Allora quando il il 7 novembre (proprio come 6 anni fa) mi son piazzato davanti ad Eurosport per vedere quelle immagini mi è venuta un po’ di malinconia nel ricordo di quella esperienza trascorsa ma poi anche io ho corso, anche se solo verso il computer, a cercare il piazzamento dei tanti colleghi di fatica. Dalla fredda lettura di cifre ho potuto capire se erano riusciti nell’intento di abbattere il proprio muro o perseguire l’obiettivo che si erano proposti alla vigilia, ben consapevole che, se anche non ci fossero riusciti, avrebbero potuto godere del miglior premio di consolazione: anche loro potevano dire che almeno una volta nella vita erano stati a New York!


paolo zucca
(Racconto scritto nell’ottobre 2010 e pubblicato sul numero 6/2010 della rivista Xrun)

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