giovedì 6 novembre 2014

La mia prima maratona di Paolo Zucca

Sottotitolo (ricordi e considerazioni)
(racconto scritto nel 2007 e pubblicato sul numero 3/2009 della rivista XRun)
In questi pomeriggi di riposo forzato a causa di una fastidiosa borsite retro calcaneare che mi 
affligge da un anno sia fisicamente, impedendomi di correre come vorrei, che mentalmente, rendendomi nervoso e particolarmente pensieroso riguardo il mio futuro podistico metto ordine negli armadi tra i vari libri, ritagli, articoli e risultati di gare passate.
L’altro giorno mi è capitato tra le mani il volumetto con le foto e la classifica della maratona di Cesano Boscone del 6 novembre 1994 e come un flash back dei film son tornato indietro a quella esperienza ed ai momenti che l’hanno preceduta non nascondendo un filo di commozione.
Era già da qualche anno che mi frullava nella mente questo proposito. A dire il vero come regalo di laurea mi ero prefissato la partecipazione alla maratona di New York ma, un po’ per carenza cronica di fondi, un po’ per mancanza di accompagnatori al seguito, l’idea della maratona era un po’ sfumata negli anni.

Tredici anni fa non è che ci fossero poi così tante 42 come oggi. Il boom della corsa (a parte le sporadiche Stramilano, Stratorino ecc.) non era ancora scoppiato, eravamo in pochi a correre lunghe distanze e se penso agli epitteti ed insulti che ricevevo quando correvo il pomeriggio tardi al buio ai Bagni (n.d.r. zona periferica di Acqui), tra coppiette in intimità e cercatori di tartufi con cani, vedendo ora le strade di Acqui percorse più da esibizionisti in tuta che effettivi podisti mi viene da sorridere.

Pizzolato e Bordin, nonostante le loro vittorie a New York e Seoul non erano riusciti a trascinare le folle a percorrere 42km. I vari Morandi, Fogli, Linus giocavano ancora a pallone con i colleghi di bevute e mangiate, le marche sportive non investivano nella ricerca e nella sponsorizzazione degli eventi e pertanto le vere maratone si contavano sulle dita di due mani. A parte Roma, Venezia e Torino spesso le altre gare venivano organizzate su distanze vicine ai 42,195 ma senza un’effettiva misurazione ufficiale ed omologazione. Altre volte il chilometraggio era reale ma poi non venivano transennate curve, marciapiedi e così, spesso, molti podisti si “ritagliavano” un proprio percorso personalizzando così il chilometraggio.
Alle maratone si avvicinavano discreti “pistaioli” a fine carriera in cerca di qualche soldino e podisti della domenica con qualche velleità ed esperienza, anche perché il tempo massimo (quasi sempre di 4 ore) scoraggiava la partecipazione popolare.

Così, dopo giovanili esperienze nel basket e nel salto in alto e alcuni anni di onorata militanza podistica nelle non competitive domenicali, qualche mezza maratona e corsa popolare (stramilano,stratorino,vivicittà) e alcuni triathlon mi decisi al grande passo.
Il libro “Correre è bello” e le riviste “Correre”, “Vai” e “Jogging” erano i miei punti di riferimento anche perché non erano ancora apparsi i vari guru con le loro tabelle di allenamento, diete e dissertazioni varie.
L’allenamento base era costituito da km, km e ancora km e, leggendo quelle poche notizie di chi aveva già provato l’avventura e, spesso, ne usciva cotto e distrutto prima ancora di iniziare, un po’ ero spaventato da “tanto sentito dire”.
Non essendoci ancora la massa anche le marche sportive proponevano pochi modelli specialistici e a rivedere le scarpe e l’abbigliamento di quei tempi viene da sorridere a pensare ai materiali usati:le tomaie erano in pelle con assoluta mancanza di ammortizzamento nei talloni ed i calzoncini e le canotte in satin provocavano sfregamenti dolorosi dappertutto. Insomma l’improvvisazione regnava sovrana e scarsi e sballati risultavano gli allenamenti (l’ultimo e unico lungo di circa 2h addirittura la domenica prima!)

La scelta era caduta su Cesano Boscone (Milano) perché facilmente raggiungibile, con percorso pianeggiante e anche per la garanzia di comprovata serietà e organizzazione; colleghi di fatica Maurizio e Lorenzo, infaticabili e indispensabili compagni al seguito in bicicletta Claudio e Giuliano.

La data si avvicina, la paura di non farcela cresce come anche la pioggia che ormai da diversi giorni
scendeva copiosa. Le previsioni meteo non promettono niente di buono anzi, per sabato e domenica è previsto un ulteriore peggioramento: pazienza il battesimo sarà bagnato e come la sposa speriamo sia fortunato.
Domenica alle 6 il ritrovo in piazza, carichiamo le bici ma caspita quant’acqua, troppa…In macchina le preoccupazioni aumentano:certo che 42km son tanti, se poi anche le condizioni meteo son così sfavorevoli sarà veramente un’impresa arrivare alla fine.
A Cesano Boscone, paesone alla periferia di Milano, c’è molta animazione anche se cominciano a giungere voci di forfait dei podisti torinesi e astigiani rimasti bloccati a casa dal maltempo. Si tratta comunque sempre del campionato italiano e i migliori fondisti del momento son alla partenza e dietro di loro ci siamo anche noi con la speranza di classificarci entro il tempo massimo di 4 ore prima che vengano aperti al traffico gli ultimi km. Ci cambiamo nei corridoi delle scuole elementari e lì vedo Gianfranco di Alessandria alla sue ennesima maratone che mi saluta e mi incoraggia a non ritirarmi a meno di problemi gravi e poi decido:anche se fa freddo e piove che Dio la manda corro solo con la canotta e poi un berrettino per coprirmi quei pochi capelli che ancora ho. Abbondo nella vaselina sulle cosce per gli sfregamenti e nello start oil contro il freddo, consegno la borsa e poi fuori sotto l’acqua!

Nel marasma della partenza perdo di vista Maurizio e Lorenzo, l’incontrerò più avanti. La banda del paese suona per darci la carica ma per strada ci siamo solo noi. Alzo lo sguardo e da dietro le finestre vedo gente in pigiama che ci osserva tra un misto di ammirazione e commiserazione. Lo speaker ci saluta, il poco pubblico (amici, conoscenti) applaude. Lo sparo:si parte e che Dio ce la mandi buona!

I primi km sono all’interno della città e poi inizia il piattone in mezzo alla campagna in un percorso di andata e ritorno. Dopo qualche km finalmente vedo spuntare un volto amico, è Giuliano che in mountain bike mi segue e mi racconta di aver avuto qualche problema con un carabiniere che voleva fermarlo (!?!) impedendogli di entrare nel percorso di gara. Più avanti, intorno al 15km, intravedo la lunga sagoma di Lorenzo che sta bisticciando con la fascia del cardiofrequenzimetro che, a causa della pioggia, continua a scivolargli sul petto. Io invece ho solo un cronografo con 5 memorie anche perché, impugnando i due flaconcini di enervitene, avrei problemi a schiacciare i tasti. Lo supero incoraggiandolo perché, forse partito un po’ troppo forte, sta rallentando, comunque è seguito come un’ombra dal suo “assistente” Claudio che è pronto per ogni sua richiesta. Ma ecco che comincio ad incrociare dall’altro lato della strada i primi atleti che stanno ritornando e così completare la loro gara. Caspita, che veloci, sembra che saltino sulle pozzanghere!
Non ci sono ragazzi di colore (infatti nelle maratone di quegli anni non era ancora visibile la calata in massa di stranieri alla ricerca di ingaggi e montepremi). Il divario tra i primissimi e gli inseguitori è assai netto. Dopo qualche minuto arrivano gruppetti di 4 o 5 atleti che disposti a ventaglio cercano di proteggersi dal vento che sta spirando contrario. Vedo però anche diversi pulmini che trasportano i primi ritirati:cerco di non pensare a eventuali crisi e soprattutto al 30°km che a detta di tutti gli allenatori e maratoneti costituisce il muro della verità. Adesso incrocio Maurizio, corre spedito e tranquillo verso il ritorno, conscio delle sue forze ed esperienze in precedenti maratone e memore del percorso che aveva già affrontato in passato. Ci salutiamo, ormai il giro di boa posto a metà percorso dovrebbe essere prossimo e difatti eccolo in fondo all’ennesimo rettilineo:1h40 e 15 ai 21, non male, tenendo conto della partenza e della prudenza iniziale. Non sto faticando e sto bene a parte la pioggia fredda che comincia a farmi male sulle cosce e sui polpacci:forse avrei dovuto mettere i pantaloncini lunghi!
E’ ora di bere il primo flaconcino di enervitene…ma è una parola:le dita son bagnate e non riesco a svitare il tappo, provo con i denti, niente, anzi mi taglio le labbra che iniziano a sanguinare. Giuliano non è nelle vicinanze per farmi aiutare. Preso dallo sconforto mollo un’imprecazione e butto in un fosso quella che doveva essere la mia “bomba”.L’altra bomba non voglio usarla perché era prevista al 30°km. Pazienza, prendo uno zuccherino e uno spicchio di limone al rifornimento e speriamo in bene.
Improvvisamente senza l’aiuto psicologico del flaconcino mi prende l’ansia di non farcela a finire la gara;ho freddo, mi sanguinano le labbra, le calze zuppe d’acqua mi stanno provocando una vescica, vedo gente che si ferma e aspetta pulmini stracarichi di ritirati e oltretutto piove sempre più forte. Ci riuscirò?
Adesso son io ad incrociare altri podisti che devono ancora arrivare al giro di boa e son loro che mi guardano quasi volessero essere al mio posto. Mi consolo.
Ecco il cartello del 30°km. Qui comincia la maratona:il famoso muro! E’ ora di assumere l’altro (unico) enervitene. Questa volta non mi faccio prendere dal panico, rallento, lo avvolgo nel lembo della canotta, finalmente lo riesco a svitare e lo bevo con avidità e soddisfazione, mixato al sangue della labbra. Ora ho l’antidoto contro ogni crisi, fatica e anatema dei guru!

I km vanno che è un piacere, supero ragazzi che camminano;33,34,35, i cartelli son costanti come la mia andatura. Arriva Giuliano che ha appena lasciato Maurizio che nel finale ha rallentato; mi incita “dai che è finita!”. In lontananza vedo i primi casermoni di Cesano, ci siamo:36,37,38..38..38!!!
Ma cosa mi succede? La gamba destra mi sembra un blocco di marmo, mi guardo la scarpa, la tomaia è rossa di sangue vicino al mignolo. Si è sgonfiata una vescica e per cercare di non sentire il bruciore inconsciamente ho cambiato l’appoggio e ora ho paura di avere un principio di crampo..No, non può finire così! Non devo fermarmi a camminare. Ho letto che bisogna resistere e trovare una motivazione valida per andare avanti. Penso allora: prima mi tolgo dall’acqua e quindi prima mi faccio la doccia e mi cambio e mangio qualcosa di caldo. Infatti adesso comincio a sentire la fame, forse ho mangiato poco a colazione o mi è mancata una “bomba”…
Per fortuna si entra in città, anche se solo per un km.  Infatti il 40km sarà il tratto che mi ricorderò per sempre. Stiamo fiancheggiando la tangenziale che porta i milanesi all’autostrada e ai vari centri commerciali. Ci separa solo il guard rail dall’inferno! Le pozzanghere sono ormai dei laghi e gli automobilisti che ci vedono correre aumentano la velocità e sembra che si divertano a centrarle per provocare una serie continua di ondate effetto tsunami. Finalmente arriviamo sotto un cavalcavia:è il primo riparo che troviamo dopo più di tre ore e qualche podista ne approfitta per pulirsi gli occhiali sporchi di fango. Giuliano è lì che mi dice che posso scendere sotto le 3h30!Francamente non m’interessa niente del tempo e gli dico che voglio solo arrivare in fondo.
Girata la curva trovo il cartello del 41km. Vedo gente che esce da messa, sento i primi applausi, accompagnatori di podisti ci gridano che siamo grandi e che è fatta.
Si sente la voce dello speaker, vedo i cartelloni pubblicitari, son ormai in trance agonistica. Mancano 195m, la moquette rossa posta sull’asfalto mi dà slancio, non sento più nessun dolore e riesco a conservare uno stile da vero maratoneta come poi vedrò nella foto dell’arrivo.

Al termine di una gara c’è chi piange, chi si commuove, chi ride. Io invece ricordo i denti digrignati, il senso di liberazione, il mio grido “alè, è fatta!” e la pacca sulla spalla di Giuliano all’arrivo, che mi ha seguito per tutta la giornata e devo ringraziare per l’assistenza e gli incitamenti.

3h25’22’’è il tempo finale: non ci credevo ancora, avevo corso in continuazione per oltre 42 km senza fermarmi! Si poteva far meglio ma anche peggio ed arrivare oltre il tempo massimo delle 4 ore e non essere classificati. L’importante era finirla! Poi si sarebbe visto per il futuro
All’arrivo anche io ho il famoso telo di alluminio che mi protegge quasi come un plaid. Subito una doccia bollente ristoratrice in un mitico tendone militare e poi un piatto di gnocchi al ragù nella mensa scolastica insieme agli altri. I volontari si complimentano con tutti e si fanno in quattro per aiutarci. Ci sono tanti visi sconvolti, tra cui i miei compagni di avventura, ma anche tanta soddisfazione. Ora si ride, si scherza, si ripensa alle paure e alla giornata epica che sarà da raccontare poi al nipotino davanti al caminetto.
Maurizio conclude se ricordo bene in 3h18, Lorenzo un paio di minuti dopo di me.

In auto ascoltiamo alla radio i risultati delle partite ed anche un annuncio drammatico:il sindaco di Alessandria è alla ricerca di gommoni e barche per la situazione di emergenza. E’ alluvione! Temiamo per il ritorno ad Acqui, ma per fortuna, questa volta siamo stati risparmiati dal disastro.

In conclusione che dire: pensavo alla crisi del 30°km e l’ho avuta al 38°, pensavo di non camminare il giorno dopo ed invece ricordo il male alle braccia e alle dita per aver impugnato i due famosi flaconcini di enervitene, pensavo di prendermi raffreddori ed influenza per il diluvio e invece niente.

Il destino ha poi voluto che le altre mie prime volte (sotto le 3 ore in maratona, il 1° ironman) fossero caratterizzate da pioggia, vento contrario, grandine quasi a voler aggiungere una ulteriore difficoltà agli sforzi stessi.
Son convinto che se a Cesano mi fossi ritirato probabilmente non avrei più corso maratone, né ironman, né superato altre dure prove personali.

Da allora di “acqua sotto i ponti” ne è passata tanta, ho tagliato il traguardo dei 42 altre 41 volte, ho fatto 4 ironman, 1 powerman (n.d.r. al 01.11.2014 60 maratone,5 ironman,2 powerman)e miriadi di gare in pista, mare, laghi, in paesini e metropoli, ma i ricordi di quel 6 novembre 1994 a Cesano Boscone, di quelle docce volanti al 40° e del sangue alle labbra resteranno per sempre impresse nella mia memoria.

Paolo Zucca

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