Il report della corsa è di un ispirato Carlo Degiovanni.
Il passaggio ai Servera dopo circa 1,2 km fa giustizia dell’una e dell’altra opinione ribaltandone i (pre) giudizi entrando nell’essenza delle Inutili Fatiche:
Duemila e trecento metri verticali conducono i penitenti alla quota massima di 1428 metri (Castlus) con un dislivello (parziale) di 704 metri con spettacolari passaggi aerei debitamente assistiti.
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La Fidal, al suo approdo nello sconosciuto mondo della Marcia Alpina, ne vietò il tracciato considerato troppo selettivo e, a tratti, pericoloso. Nacque, in alternativa, il Sentiero dei Camosci. Bella gara ma un surrogato troppo limitato di quella che era l’Università della Marcia Alpina, facoltà dei Campioni.
Testa dura, però, quella dei montanari, e poca disponibilità , da buoni eretici, a sottostare a insulse ed immotivate direttive federali ed allora eco la riedizione integrale della Marcia Alpina del Castlus, nata, al vero, oltre 100 anni fa.
Era il 1975 quando il Forestale Giovanni Mostachetti fece l’impresa: 57’41” il tempo finale rimasto lì, immobile nei secoli (XX° E XXI°) ad attendere eredi all’altezza. Sempre quell’anno Raimondo Balicco (Futuro responsabile tecnico nazionale della Corsa in Montagna Fidal) chiuse in seconda posizione in 58’29”. All’olimpionico local Willy Bertin la medagli di bronzo in 59’30”.
Il risultato più eclatante risale,
però, alla edizione 1981. I primi 5 atleti giunsero al traguardo nell’arco di
33 secondi: Chiampo P. Giorgio (Perosino Asti 58’04”), Darioli Adriano (G.S.
Bognanco 58’15”), Dalmasso Carlo (Cuatto Giaveno 58’20”), Oria Felice (U.S.
Casellette) e Poet Bruno (G.A.S.M. 58’37) …
LA CRONACA:
160 atleti
iscritti, con il coraggio dell’incoscienza, a quella che è rimasta una delle
poche e autorevoli gare di Marcia Alpina di antica memoria sottratte allo
strapotere traileresco.
Pendenze
impossibili gravate dalla pioggia abbondantemente caduta nel corso della
nottata per lasciare spazio, fin dal primo mattino, ad uno splendido sole che
ha restituito il sorriso a protagonisti e organizzatori.
129 uomini
ma, soprattutto, 32 donne (so che il calcolo non torna ma fatevene una ragione)
a fare conoscenza “ma non amicizia” con 10 km e 1000 metri di dislivello che
rimarranno nelle gambe per giorni e giorni ancora!
Grande
prestazione complessiva di Gianluca Ghiano, la promessa pinerolese per il
futuro della specialità . L’atleta del S.D. Baudenasca, nazionale di Sky
Running, ha vinto fango e fatiche in 1.01’51”, uno dei migliori tempi in
assoluto sulla classica di Torre Pellice.
Fabio
Martinat (G.S. Pomaretto ’80 – 1.06’45”), altro giovane in rama di lancio,
tiene vive le speranze per il futuro agonistico confermando i suoi grandi
valori di scalatore e funambolo nelle discese ardite.
Ad
insistere, persistere e resistere ai vertici delle classifiche da molti anni
oramai, è il terzo classificato: Fabio Bonetto (1.07’03”) atleta di punta della
Atletica Val Pellice di Daniele Catalin.
Una giovanissima Irma Chiavazza (Atletica Saluzzo – 1.25’11”) conferma, con i due primi classificati maschili, che la gioventù avanza anche in una disciplina che si pensava relegata a residue imprese di sopravvissuti “matusa”.
Sonia Meleca
(Val Susa Running Team – 1.26’02”) la segue a brevissima distanza facendo
valere le sue doti di resistenza sull’impegnativo percorso.
A mantenersi
giovane con continue prestazioni di vertice la meno giovane Marina Plavan (S.D.
Baudenasca – 1.34’46”), capace ancora di una prestazione che la colloca sul
terzo gradino del podio assoluto!
Assegnato un premio speciale ai primi due atleti, maschile e femminile, transitati alla “Campana” del Castlus. Una pregevole opera dell’atleta artista Dorino Gusmeroli ha premiato Gianluca Ghiano e Irma Chiavazza ricordando Daniele Buffa, l’atleta della Val Pellice scomparso oramai alcuni anni fa in una uscita sci alpinistica.
La cronaca sportiva si chiuderebbe qui se non fosse per le personalissime sfide ed emozioni vissute da tutti i protagonisti ma queste sono questioni private che trovano spazio solo nelle chiacchiere tra amici e nell’angolo dei ricordi che serviranno per racconti, talvolta ridondanti, a figli e nipoti nelle lunghe sere invernali.
Carlo Degio
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