venerdì 7 giugno 2019

Ricordiamo Saamiya, ricordiamoci che lo sport non deve avere confini

Il 2 giugno sul lago di Comabbio nel Varesotto si è corsa la 5^ edizione della Corri con Saamiya.

Una manifestazione di 12 km attorno al lago di Comabbio per ricordare Saamiya, l'atleta affogata nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l'Europa per potersi allenare per le Olimpiadi. Un evento per ricordare che lo sport non ha nè genere nè confini.

Al di là dei risultati della gara ciò che forse è più importante è proprio ricordare chi era Saamiya, come ci ha ricordato Maddalena Grassano, l'olimpionica alessandrina.

Il racconto di Carlo Lucarelli:




Questa è la sua storia.
Saamiya Yusuf Omar nasce nel 1991 a Mogadiscio da una famiglia povera, la più piccola di sei figli, ma essendo  femmina fu costretta a lasciare la scuola per occuparsi dei fratelli dopo l'uccisione del padre al mercato di Bakara.
E' in quel periodo che Saamiya iniziò ad appassionarsi alla corsa, come tutte le ragazze anche Saamiya aveva il poster del suo idolo appeso al muro, ma non si trattava nè di un cantante nè di un attore, ma di Sir Mo Farah, il mitico atleta britannico di origine somala.

Saamiya iniziò ad allenarsi, ma in un Paese dominata dalla guerra e dai fondamentalisti islamici non si rivelò una pratica semplice. Le poche strutture sportive erano state danneggiate o addirittura distrutte, quindi non restavano che le strade. La ragazze si allenava di notte o comunque coperta con pantaloni e maglia lunghi, una sciarpa sulla testa. Nonostante questo spesso veniva fermata ai posti di blocco e a volte minacciata di morte se non avesse smesso di fare sport.

Saamiya, però non si lascia intimidire e nel maggio 2008 riesce a partecipare ai Campionati Africani, arriva ultima della sua batteria dei 100m piani, ma viene convocata per partecipare alle Olimpiadi di Pechino.

L'atleta arriva in Cina senza le scarpe per gareggiare che le vengono donate dalla Nazionale Sudanese, ai blocchi di partenza dei 200m Saamiya è uno scricciolo, magrissima, non veste i completini tecnici delle altre Nazioni, ma è lì anche lei vicino ad atlete famose, come la giamaicana Veronica Campbell che vinse la batteria. Saamiya arrivò ultima incoraggiata dal tifo del pubblico.
In un'intervista la ragazza disse che era contenta di aver ricevuto così tante attenzioni da parte del pubblico, ma avrebbe preferito riceverle per aver vinto e non per essere arrivata ultima e si riprometteva di fare meglio la prossima volta.


Il suo rientro a Mogadiscio non fu accolto invece con favore, ricominciarono le minacce. Nel 2009 Saamiya finì a vivere in un campo profughi, nel 2010 si trasferì in  Etiopia alla ricerca di un allenatore, la voglia di partecipare alle Olimpiadi non era stata accantonata, anzi era il suo stimolo di vita.  Dall'Etiopia arrivò in Libia e da lì si persero le sue tracce.

Da alcune ricostruzioni pare che Saamiya sia annegata al largo di Lampedusa, una dei tanti naufraghi delle carrette del mare che inseguivano un sogno o una speranza.
La storia di Saamiya è stata raccontata nel libro di Giuseppe Catozzella "Non dirmi che hai paura", romanzo pubblicato successivamente in tutto il mondo e che è valso a Catozzella la nomina a Goodwill Ambassador UNHCR.

Nonostante il triste epilogo la storia di Saamiya è importante, soprattutto per le nuove generazioni, l'atleta non si è mai arresa e ha perseguito il suo sogno fino alla fine, non importa se non era la migliore, lei combatteva per la sua libertà di poter assecondare la sua passione, perché lo sport non deve avere limitazioni di genere.

Saamiya in occasione delle Olimpiadi di Pechino disse :"Noi sappiamo che siamo diverse dalle altre atlete. Ma non vogliamo dimostrarlo. Facciamo del nostro meglio per sembrare come loro. Sappiamo di essere ben lontane da quelle che gareggiano qui, lo capiamo benissimo. Ma più di ogni altra cosa vorremmo dimostrare la nostra dignità e quella del nostro paese."









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