venerdì 31 maggio 2019

Dale Greig, l'addio alla pioniera della Maratona

Il 22 maggio la Iaaf annunciava la morte di Dale Greig CLICCA QUI per saperne di più.
Un nome e un cognome che si perde nel tempo, ma che per chi ama il mondo del Podismo e dell'Atletica Leggera deve essere conosciuto e fissato nella mente di tutti come Fosbury per il salto dorsale, Tommie Smith & John Carlos per il celeberrimo pugno chiuso e Kathrine Switzer, la donna maratoneta che nel 67 sfidò il mondo maschile correndo la maratona di Boston quando alle donne era proibito correre la distanza regina.

ADDIO ALLA PIONIERA DELLA MARATONA
Di Gabriele Gentili
Dale Greig alla maggioranza degli appassionati di maratona è un nome che non dirà nulla, eppure questa signora britannica, scomparsa alcuni giorni fa all’età di 82 anni, ha avuto un peso fondamentale nella storia dei 42,195 km, siglando il primo record mondiale femminile quasi senza saperlo, recitando un ruolo d’importanza almeno pari a quello di Kathy Switzer, che contro gli stessi organizzatori corse con uno stratagemma la maratona di Boston nel 1967 abbattendo un vero muro culturale che impediva alle donne la partecipazione alle corse su lunghe distanze.
La vicenda che vide protagonista Dale Greig è addirittura antecedente, risale al 1964. Impiegata come segretaria in una rivista scozzese di atletica, Dale è in vacanza all’Isola di Wight: venuta a sapere della disputa della Ryde Marathon, decide di partecipare, anche se per farlo deve usare semplici scarpe da ginnastica non avendo previsto questa eventualità. In gara con lei ci sono 67 uomini: gli organizzatori sino sicuri che la sua maratona durerà poco e le mettono alle spalle un’ambulanza pronta a soccorrerla. La temperatura molto calda porta invece al ritiro e alla necessità di soccorsi di ben 18 corridori maschi mentre Dale va avanti senza problemi fino a chiudere in 3h27’45”, tempo che dopo un ricontrollo degli organizzatori verrà corretto in 3h27’25”, considerato il primo record mondiale femminile.




A fine gara, Dale non mostra grande affaticamento, tanto che la sera va a ballare e conclude la giornata con un bel bagno di mezzanotte in spiaggia. La notizia della sua prestazione va il giro del Paese e gli organizzatori ricevono pochi giorni dopo una risentita lettera da parte della Federazione britannica, che li avverte di non ripetere più tali “esperimenti, che scatenano una pubblicità che non fa bene allo sport”.
Probabilmente non sapevano che per Dale quello era un passatempo abituale: nelle giornate di riposo dal lavoro, partiva da casa alle 7:00 per una “corsetta” di 30 miglia offroad, al termine della quale si concedeva un cono gelato per poi affittare una sdraio e andare a nuotare. Al pomeriggio ripresa della corsa verso Gourock, altre 20 miglia, al termine delle quali si concedeva una bella fetta di torta e una tazza di caffè prima di prendere il treno per tornare a casa.
Dale non ricevette alcun premio per la sua impresa, ma neanche sanzioni. La passione per la corsa la portò a fondare una società nella sua città natale Paisley, inizialmente era la sola iscritta, ma questo non le impedì di organizzare il primo campionato scozzese di corsa campestre: aderirono solo 10 donne, ma una decina di anni dopo erano arrivate a 400. Il suo messaggio era finalmente arrivato, ma non bastava per appagare la sua voglia di cercare sempre qualcosa di nuovo: fu la prima a correre la 40 Miglia dell’Isola di Man, la prima a salire e scendere di corsa dal Ben Nevis (1.345 metri slm) e a terminare la Londra-Brighton, gara lunga 53 miglia. Nel 1974 a Parigi conquistò l’oro alla prima edizione del Campionati Mondiali Master, naturalmente in maratona (3h45’21” il tempo finale). La sua voglia di correre s’interruppe bruscamente nel 1982, quando uno scivolone in piscina le costò la frattura di entrambe le caviglie. Fine dell’attività, ma non della passione: in tarda età ha finalmente potuto godere di quegli attestati di fama che non le avevano tributato, alla London Marathon era ospite fissa come ex recordwoman mondiale, pioniera di una battaglia per l’emancipazione sportiva della donna che forse non è ancora terminata.





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