lunedì 8 dicembre 2014

Trail del Monte di Portofino di Elisabetta Iurilli

"Stai attenta e chiama quando arrivi" "Vedi di stare in gruppo, con tutto quello che si sente.." "e vedi di non farti male" Eh no, ora mamma esageri, penso mentre la saluto. Mi stampa un bacio sulla guancia come fossi una bambina che va a scuola
Guido piano, mi godo la quiete mattutina, il privilegio dell’alba di una giornata di festa, il mare tra Rapallo e Santa Margherita, piccoli angoli di paradiso immersi ancora nel buio che si svelano tra una curva e l’altra. 

Parcheggio e inizio a cercare il luogo deputato alle iscrizioni. Mi passano davanti cinque o sei ambulanze, ordinate, con i lampeggianti spenti. Sono i volontari che veglieranno su di noi, vanno a prendere posizione. Intorno a me altra gente vestita nel mio stesso modo, poi la tenda bianca del gazebo. Prendo il modulo per l’iscrizione sul posto. Mi rendo conto che si sta impossessando di me una leggera agitazione. Perché è da tanto che non faccio gare, a luglio mi sono dovuta fermare e quella tallonite sembrava non voler guarire più. I primi passi su strada li ho fatti il mese scorso, e mi sembrava di non aver mai corso in vita mia, non c’era più niente del mio passato di runner, gambe dure, cuore che batte in modo sbagliato, fiato corto … solo la testa era ancora quella di una runner, testarda e costante, un passo dietro l’altro mi dettava la nuova fatica, mi imponeva di non cedere alle frustrazioni degli allenamenti mattutini così diversi da quelli pre-infortunio. Il cuore e le gambe si sono sottomessi docilmente, ora finalmente la gara. Sbaglio a scrivere il nome della nuova società, straccio il foglio rincomincio a compilare … i percorsi sono quattro. Devo scegliere la distanza. Un occhio all’altro bancone, dove gli iscritti al vero trail ritirano il pacco gara. Massì faccio i 23. Poi ci ripenso. Sono troppi, ho appena ricominciato a correre e se il mio piede ci ripensa e la tallonite si risveglia? Giammai! Barro la casella con scritto 13 km. Anche se … almeno i 19 potevo concedermeli … cedo la penna ad un altro runner prima di un ulteriore ripensamento. 13 km per oggi bastano, anzi … speriamo in bene!!!
Piove, ed abbiamo un bel da dire col motto che noi il sole ce l’abbiamo dentro. Cioè sì, siamo tutti vispi e raggianti, colorati e scalpitanti, con l’incoscienza e l’allegria dei bambini. Però la pioggia se non c’era era meglio. Vedo tre miei compaesani, tre ragazzi giovani, due al loro primo trail, sono felice che siano qui, che conoscano la bellezza della corsa per monti. Ci facciamo una foto insieme, mi sento un po’ mamma chioccia …
La voce di Roberto Giordano spiega il percorso e raccomanda, ricorda la punzonatura, quella che è stata imposta anche a me non competitiva. “Non fa male sa?” mi dice la signora armata di pistola laser vedendomi dubbiosa. Volevo dirle che non è la prima volta, solo che oggi non ho voglia di classifica, con la punzonatura so che ci sarà uno prima e uno dopo di me all’arrivo, mentre oggi volevo perdermi nell’anonimato, essere in lotta con me stessa e basta …
Siamo sempre più pigiati, più bagnati, più confidanti alla buona stella … finalmente lo start. Mi rendo conto di avere il cuore in gola per l’emozione. “Ci sono, ci sono di nuovo …” Sono tra il mio gruppo di gente che si sveglia presto la mattina e la domenica ancor più presto degli altri giorni della settimana. Sono tra quelli che accampano mille scuse per giustificare quella piccola fuga da casa che fa sognare, quelli che corrono sotto la pioggia e non si prendono un raffreddore in tutto l’inverno, quelli che oggi si infangheranno, scivoleranno e forse si faranno male, ma fingeranno di non provare il benché minimo dolore agli occhi del coniuge … “Ci sono di nuovo” e le gambe iniziano a correre e ad allungarsi prima in discesa poi in una salita di cui non si vede la fine. 
Incontro volti noti, un saluto, vorrei abbracciare tutti, dire che sono felice, rimando, ci saranno altre occasioni, ora il fiato serve, si sale, si sale dannatamente e faccio fatica, aspetto la scalinata di questo percorso già noto, ma sempre strepitoso con i suoi scorci tra cielo e mare.
Ed ecco il bosco, le foglie sugli scalini, tutto viscido e scivoloso. Ci si allinea, si spera che quello dietro non incalzi troppo, che quello davanti conceda un piccolo spazio … è lotta, anche se c’è rispetto per la fatica altrui tanto uguale alla propria.
Là dove la salita è più pesante cammino, ma poi riprendo appena posso la corsa dicendomi che non va bene cedere alla fatica, per camminare ci sono i bei viali con le vetrine, qui ora si corre, si fa sul serio. I continui sali e scendi spezzano le gambe. Un contadino ci osserva, guarda quella lunga fila di guerrieri colorati e sofferenti e par che pensi “E sun nesci!”. A conferma passandogli vicino gli strizzo l’occhio …
Ecco il ristoro. Bevo dalla stessa bottiglia di chissà quanti, ma non è la prima volta. Riprendo, c’è da saltare un rivo, ce la faccio, non mi bagno i piedi e mi aumenta l’autostima. Poi su e il fango fa scivolare, ma mai come la strada lastricata in discesa … Riesco a non cadere in un punto particolarmente viscido e nuovamente sono felice di me, mi sembra di essere meno goffa del solito e questo mi basta. 
Salitona con tanto di fotografo a immortalare il pezzo dove sputiamo l’anima esausti. Ed è di nuovo sentiero, bosco, Nozarego, lo so ora si scenderà. 
La villa, il mare, i vigili che fermano le auto e non la nostra corsa, poi finalmente l’arrivo …
Di nuovo la signora con la pistola “Vieni qui tu che non ti ho visto il pettorale …” ma sono felice, lascio volentieri che si conosca la mia posizione, il piede sembra aver reagito bene, io la mia battaglia l’ho vinta!
Elisabetta Iurilli

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