mercoledì 10 dicembre 2014

Gli allenatori rispondono. Paolo Cellerino

4° appuntamento con gli allenatori, dopo Maurizio Di Pietro, Graziano Giordanengo e Stefano Davite è il turno di un neo istruttore che svolge la sua attività al campo Coni di Alessandria: Paolo Cellerino. Diversamente da quel che pensassi la voglia di cimentarsi con i ragazzi è nata e cresciuta gradualmente e dalle sue parole traspare l'entusiasmo nel seguire le giovani leve dell'atletica di Alessandria.
Ecco le sue risposte:

Partiamo dal tuo passato sportivo. Da dove arrivi? Quale trascorso hai nell’Atletica come atleta?

Essendo figlio di due ex atleti di livello internazionale sono sempre stato a contatto con l’ambiente dell’atletica. A livello agonistico ho gareggiato nelle discipline di velocità, dai 100 ai 400 metri, per circa una decina d’anni, anche se non con grande continuità, in genere allenandomi per periodi di 2-3 anni e poi smettendo. Il mio periodo migliore è stato il 1999-2000, poi per un po’ mi sono dilettato con le gare su strada, anche se non erano proprio nel mio DNA, e ho corso anche una mezza maratona. Verso i 30 anni, visto che l’Atletica Alessandria per alcune stagioni si era qualificata per le finali dei Campionati di Società, mi è tornata di nuovo voglia di gareggiare nei 100 metri ed ho avuto la soddisfazione di riavvicinarmi al mio personale. Nei periodi in cui non facevo atletica mi piaceva anche andare in bici, sebbene non con grandi chilometraggi.

Da quanti anni alleni? E come è scattata l’idea di mettersi in gioco come allenatore?

Alleno da circa 7-8 mesi. La voglia di frequentare il corso da istruttore della Fidal veniva più da un desiderio di cultura personale che non dalla vera e propria voglia di allenare. Devo ringraziare i ragazzi di Alessandria con cui ho seguito il corso, Francesco Labate e Alessandro Puppo, che sono stati uno stimolo reciproco per applicarsi ed approfondire le diverse specialità. Poi i dirigenti dell’Atletica Alessandria avevano bisogno di un tecnico, mi hanno chiesto di entrare a far parte dello staff e, dopo qualche esitazione iniziale, la cosa mi è piaciuta, viste anche le reazioni positive del gruppo che ho iniziato a seguire.

 Qual è il tuo target (giovani-master) di atleti? Chi stai seguendo attualmente? 

Seguo un gruppo di una quindicina di atleti, principalmente orientati a velocità e salti, qualcuno ai lanci, delle categorie Cadetti e Allievi (alcuni entrano l’anno prossimo negli Juniores). Ho avuto qualche esperienza anche con i bambini della categoria Esordienti (dai 6 agli 11 anni), sia come periodo di tirocinio nell’ambito del corso, sia dovendo sostituire altri tecnici momentaneamente assenti. Devo dire che l’attività con i più piccoli inizialmente non è semplice ma alla fine è molto gratificante.

Nella stesura di un ciclo di allenamenti segui delle linee guida/principi ben delineati o vengono modellati a seconda del periodo e dell’atleta?

A parte i principi fondamentali, ad esempio quello della gradualità del carico, e lo sviluppo di una serie di abilità basilari, che non a caso vengono definite preatletismo, nell’atletica su pista c’è una forte differenza tra il periodo di preparazione generale e quello agonistico. Il primo copre la stagione invernale ed è forse il più difficile per l’atleta che deve sopportare mesi di esercitazioni di forza, di mobilità o di lavori aerobici al freddo senza lo stimolo immediato della gara, fatta eccezione al massimo per qualche indoor a gennaio-febbraio, che comunque, nel mio caso, non costituisce attualmente l’obiettivo della preparazione. In primavera si passa ad esercitazioni via via più specifiche, maggiormente appaganti ma non meno impegnative sotto l’aspetto del dispendio energetico e del livello di attenzione richiesto, in vista della stagione delle competizioni che vola via in pochi mesi. Nella mia esperienza una delle difficoltà maggiori che ho finora incontrato, avendo un gruppo abbastanza eterogeneo, è quella di adattare le esercitazioni alle diverse fasce di età. Ad esempio, sotto l’aspetto dei lavori di forza o di quelli lattacidi è chiaro che un soggetto di 13 anni e uno di 18 non possono fare le stesse cose, quindi devo regolare distanze, numero di ripetizioni, uso o meno di sovraccarichi, ecc. Un’altra differenziazione, non necessariamente legata all’età, va fatta tra chi ha appena incominciato, e quindi può avere maggiori difficoltà nell’esecuzione di certi esercizi e chi ha già qualche anno di esperienza. 

L’approccio psicologico è oggi sempre più considerato, quale importanza riponi sulle capacità mentali dei tuoi atleti? Li alleni anche sotto quel profilo?

Devo dire che non ho molte conoscenze in questo campo, tuttavia nella mia breve esperienza ho notato le differenze di carattere e di attitudine psicologica all’allenamento e alla gara tra i ragazzi. Più che allenarli sotto questo profilo, sto cercando di adattare il mio approccio alle loro caratteristiche in modo da stimolarne gli aspetti positivi e limitare quelli negativi.

Nella tua esperienza è più determinante un atleta talentuoso o uno determinato con meno qualità e quale importanza dai al risultato ottenuto?

Le qualità di base fanno la differenza e si vedono immediatamente, anche se ad un certo livello da sole non bastano senza la determinazione e la giusta attitudine mentale. Riguardo all’importanza del risultato, è superfluo dire che in atletica la prestazione ha sempre un’unità di misura, ma visto che, se portiamo all’estremo l’assunto di cui sopra, pochissimi sono quelli da medaglia olimpica e gli altri potrebbero sedersi tutti in poltrona a guardare, ti direi che più che nel risultato la soddisfazione dovrebbe stare nell’esprimere al meglio il proprio potenziale e nella consapevolezza di aver dato il massimo per raggiungere i propri obiettivi.  

Qual è la tua impostazione nell’allenare un giovane rispetto ad un master? Quali differenze di stimoli devono necessariamente esserci?

Cominciamo dalle differenze, è chiaro che nell’età dello sviluppo ci pensa già la natura a far migliorare ed un buon allenatore dovrebbe prima di tutto non nuocere, accompagnare ed assecondare il processo naturale di crescita. Nel master si tratta al contrario di contrastare il processo di invecchiamento e di mantenere certe qualità, prevenendo o contenendo gli effetti degli infortuni; in questo senso abbiamo visto come rispetto ad un tempo i limiti si siano spostati e non siano rari gli atleti che rimangono competitivi ad alti livelli dopo i 35 anni. Talvolta, nel caso di chi inizia a correre ad una certa età, è comunque ancora possibile tirare fuori parte del potenziale che il soggetto aveva in sé ed avere significativi miglioramenti. Comunque le capacità che si possono allenare per un arco di tempo più ampio e fino ad un’età relativamente avanzata sono la forza (anche se nel podista la forza massima non è di grande utilità, lo è un po’ di più la forza resistente) e la resistenza aerobica (che è invece il pane quotidiano del runner). All’opposto, finchè non si è completato lo sviluppo, bisogna usare la massima cautela nell’allenare le due capacità citate. Fatte queste premesse, mi sembra di notare che alcuni master in allenamento tendano a strafare, utilizzando mezzi, volumi e intensità di lavoro più propri di un atleta delle categorie assolute. Per questo vorrei dire (e sembrerà quasi una provocazione!) che, fatti i debiti adattamenti cui ho accennato in base all’età e alle capacità dell’atleta, per un master, come numero di sedute, struttura generale dell’allenamento, preatletismo, densità, può anche andare bene come base il programma di allenamento di un cadetto. Questo vale soprattutto per il master che vuole cimentarsi nelle discipline veloci o nei concorsi (in questo caso rispetto al cadetto ci può essere un’enfasi maggiore sulla forza), mentre in chi si dedica alla resistenza, rispetto ai più giovani, ci sarà un chilometraggio maggiore e qualche stimolo in più sulla potenza aerobica o la capacità lattacida. Preciso comunque che quanto appena detto non vale al crescere della distanza di gara, un programma di preparazione alla mezza o alla maratona ha le sue caratteristiche peculiari, tanto che distanze simili non sono nemmeno previste a livello giovanile.

Se per un master è normale allenarsi in solitudine, quali sono i vantaggi di un allenamento collettivo e come viene organizzato in un gruppo eterogeneo di atleti?

Credo che allenarsi in gruppo sia importante sotto molti aspetti, per sopportare meglio i lunghi o le prove ripetute in pista, per scambiare qualche battuta nei momenti di pausa, per lo spirito di emulazione e di confronto che sorge all’interno del gruppo. Tuttavia, un gruppo troppo numeroso può degenerare nella confusione e rende comunque difficile l’analisi del singolo gesto tecnico e la correzione degli errori. Il rischio è quello di appiattire l’allenamento su di un livello medio penalizzando i più dotati. L’ideale per me sarebbe un gruppo di 5-6 persone. All’organizzazione del lavoro ho già in parte accennato nelle risposte precedenti. Posso aggiungere che è importante valutare bene gli spazi, il materiale a disposizione e i tempi della seduta. Ad esempio, se gli atleti eseguono l’esercizio uno per volta rischiano di rimanere fermi per troppo tempo tra una ripetizione e l’altra (e così, soprattutto con i più piccoli, si può stare certi che l’attenzione viene meno!). Un buon metodo può essere in certi casi quello di lavorare in circuito, in modo che tutti eseguano contemporaneamente, passando poi ciascuno alla stazione successiva. In questo modo è possibile anche controllare il rapporto tra tempi di lavoro e di recupero e variare quindi intensità e densità del carico. Con un gruppo eterogeneo cerco poi di predisporre una struttura base dell’allenamento, fatta di esercitazioni comuni, su cui inserire le variazioni soggettive di ripetizioni, carichi, ecc. A questo aggiungo, soprattutto nel periodo agonistico, alcune prove specifiche per i singoli in base alle specialità, ed in questi momenti posso assicurare che non è semplice seguire uno o due che devono lanciare e contemporaneamente cronometrare altri che corrono, per fortuna a volte ci si dà una mano tra i diversi tecnici.

 C’è un consiglio che ti sentiresti di dare a chi quotidianamente calza le scarpe per allenarsi?

Dalla fatica che stai per compiere cerca sempre di trarre qualche beneficio, divertimento incluso, qualche miglioramento, di imparare qualcosa. La voglia di calzare le scarpe ogni giorno deve essere un insegnamento a superare le difficoltà che ci troviamo di fronte.

Una delle domande ricorrenti che mi sono arrivate è sulla richiesta economica. Qual è il costo per farsi seguire te?

Il discorso è un po’ diverso, io non sono un libero professionista del training, alleno nell’ambito di una società sportiva, dove chi si iscrive alla società pagando una quota viene affidato ad un tecnico.

Grazie per la disponibilità e se volessi indicarci dove i lettori di Bio Correndo ti possono trovare sarebbe di grande utilità!

Grazie a te, Fausto, per questa piacevole possibilità di confronto! Se qualcuno ha qualche altra domanda può scrivermi oppure può trovarmi al Campo scuola di Alessandria il lunedì, mercoledì e venerdì dalle 17 alle 19 circa.

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