4° appuntamento con gli allenatori, dopo Maurizio Di Pietro, Graziano Giordanengo e Stefano Davite è il turno di un neo istruttore che svolge la sua attività al campo Coni di Alessandria: Paolo Cellerino. Diversamente da quel che pensassi la voglia di cimentarsi con i ragazzi è nata e cresciuta gradualmente e dalle sue parole traspare l'entusiasmo nel seguire le giovani leve dell'atletica di Alessandria.
Ecco le sue risposte:
Ecco le sue risposte:
Partiamo dal tuo passato sportivo. Da dove
arrivi? Quale trascorso hai nell’Atletica come atleta?
Essendo figlio di due ex atleti di livello
internazionale sono sempre stato a contatto con l’ambiente dell’atletica. A
livello agonistico ho gareggiato nelle discipline di velocità, dai 100 ai 400
metri, per circa una decina d’anni, anche se non con grande continuità, in
genere allenandomi per periodi di 2-3 anni e poi smettendo. Il mio periodo
migliore è stato il 1999-2000, poi per un po’ mi sono dilettato con le gare su
strada, anche se non erano proprio nel mio DNA, e ho corso anche una mezza
maratona. Verso i 30 anni, visto che l’Atletica Alessandria per alcune stagioni
si era qualificata per le finali dei Campionati di Società, mi è tornata di
nuovo voglia di gareggiare nei 100 metri ed ho avuto la soddisfazione di
riavvicinarmi al mio personale. Nei periodi in cui non facevo atletica mi
piaceva anche andare in bici, sebbene non con grandi chilometraggi.
Da quanti anni alleni? E come è
scattata l’idea di mettersi in gioco come allenatore?
Alleno da circa 7-8 mesi. La voglia di
frequentare il corso da istruttore della Fidal veniva più da un desiderio di
cultura personale che non dalla vera e propria voglia di allenare. Devo
ringraziare i ragazzi di Alessandria con cui ho seguito il corso, Francesco
Labate e Alessandro Puppo, che sono stati uno stimolo reciproco per applicarsi
ed approfondire le diverse specialità. Poi i dirigenti dell’Atletica
Alessandria avevano bisogno di un tecnico, mi hanno chiesto di entrare a far
parte dello staff e, dopo qualche esitazione iniziale, la cosa mi è piaciuta, viste
anche le reazioni positive del gruppo che ho iniziato a seguire.
Qual è il tuo target
(giovani-master) di atleti? Chi stai seguendo attualmente?
Seguo un gruppo di una quindicina di
atleti, principalmente orientati a velocità e salti, qualcuno ai lanci, delle
categorie Cadetti e Allievi (alcuni entrano l’anno prossimo negli Juniores). Ho
avuto qualche esperienza anche con i bambini della categoria Esordienti (dai 6
agli 11 anni), sia come periodo di tirocinio nell’ambito del corso, sia dovendo
sostituire altri tecnici momentaneamente assenti. Devo dire che l’attività con
i più piccoli inizialmente non è semplice ma alla fine è molto gratificante.
Nella stesura di un ciclo di allenamenti
segui delle linee guida/principi ben delineati o vengono modellati a seconda
del periodo e dell’atleta?
A parte i principi fondamentali, ad
esempio quello della gradualità del carico, e lo sviluppo di una serie di
abilità basilari, che non a caso vengono definite preatletismo, nell’atletica
su pista c’è una forte differenza tra il periodo di preparazione generale e
quello agonistico. Il primo copre la stagione invernale ed è forse il più
difficile per l’atleta che deve sopportare mesi di esercitazioni di forza, di
mobilità o di lavori aerobici al freddo senza lo stimolo immediato della gara,
fatta eccezione al massimo per qualche indoor a gennaio-febbraio, che comunque,
nel mio caso, non costituisce attualmente l’obiettivo della preparazione. In
primavera si passa ad esercitazioni via via più specifiche, maggiormente appaganti
ma non meno impegnative sotto l’aspetto del dispendio energetico e del livello
di attenzione richiesto, in vista della stagione delle competizioni che vola
via in pochi mesi. Nella mia esperienza una delle difficoltà maggiori che ho
finora incontrato, avendo un gruppo abbastanza eterogeneo, è quella di adattare
le esercitazioni alle diverse fasce di età. Ad esempio, sotto l’aspetto dei
lavori di forza o di quelli lattacidi è chiaro che un soggetto di 13 anni e uno
di 18 non possono fare le stesse cose, quindi devo regolare distanze, numero di
ripetizioni, uso o meno di sovraccarichi, ecc. Un’altra differenziazione, non
necessariamente legata all’età, va fatta tra chi ha appena incominciato, e
quindi può avere maggiori difficoltà nell’esecuzione di certi esercizi e chi ha
già qualche anno di esperienza.
L’approccio psicologico è oggi sempre più
considerato, quale importanza riponi sulle capacità mentali dei tuoi atleti? Li
alleni anche sotto quel profilo?
Devo dire che non ho molte conoscenze in
questo campo, tuttavia nella mia breve esperienza ho notato le differenze di
carattere e di attitudine psicologica all’allenamento e alla gara tra i
ragazzi. Più che allenarli sotto questo profilo, sto cercando di adattare il
mio approccio alle loro caratteristiche in modo da stimolarne gli aspetti
positivi e limitare quelli negativi.
Nella tua esperienza è più
determinante un atleta talentuoso o uno determinato con meno qualità e quale importanza dai al risultato ottenuto?
Le
qualità di base fanno la differenza e si vedono immediatamente, anche se ad un
certo livello da sole non bastano senza la determinazione e la giusta
attitudine mentale. Riguardo all’importanza del risultato, è superfluo dire che
in atletica la prestazione ha sempre un’unità di misura, ma visto che, se portiamo
all’estremo l’assunto di cui sopra, pochissimi sono quelli da medaglia olimpica
e gli altri potrebbero sedersi tutti in poltrona a guardare, ti direi che più
che nel risultato la soddisfazione dovrebbe stare nell’esprimere al meglio il
proprio potenziale e nella consapevolezza di aver dato il massimo per
raggiungere i propri obiettivi.
Qual è la tua impostazione nell’allenare
un giovane rispetto ad un master? Quali differenze di stimoli devono
necessariamente esserci?
Cominciamo dalle differenze, è chiaro che
nell’età dello sviluppo ci pensa già la natura a far migliorare ed un buon
allenatore dovrebbe prima di tutto non nuocere, accompagnare ed assecondare il
processo naturale di crescita. Nel master si tratta al contrario di contrastare
il processo di invecchiamento e di mantenere certe qualità, prevenendo o
contenendo gli effetti degli infortuni; in questo senso abbiamo visto come
rispetto ad un tempo i limiti si siano spostati e non siano rari gli atleti che
rimangono competitivi ad alti livelli dopo i 35 anni. Talvolta, nel caso di chi
inizia a correre ad una certa età, è comunque ancora possibile tirare fuori
parte del potenziale che il soggetto aveva in sé ed avere significativi
miglioramenti. Comunque le capacità che si possono allenare per un arco di
tempo più ampio e fino ad un’età relativamente avanzata sono la forza (anche se
nel podista la forza massima non è di grande utilità, lo è un po’ di più la
forza resistente) e la resistenza aerobica (che è invece il pane quotidiano del
runner). All’opposto, finchè non si è completato lo sviluppo, bisogna usare la
massima cautela nell’allenare le due capacità citate. Fatte queste premesse, mi
sembra di notare che alcuni master in allenamento tendano a strafare,
utilizzando mezzi, volumi e intensità di lavoro più propri di un atleta delle
categorie assolute. Per questo vorrei dire (e sembrerà quasi una provocazione!)
che, fatti i debiti adattamenti cui ho accennato in base all’età e alle
capacità dell’atleta, per un master, come numero di sedute, struttura generale
dell’allenamento, preatletismo, densità, può anche andare bene come base il
programma di allenamento di un cadetto. Questo vale soprattutto per il master
che vuole cimentarsi nelle discipline veloci o nei concorsi (in questo caso
rispetto al cadetto ci può essere un’enfasi maggiore sulla forza), mentre in
chi si dedica alla resistenza, rispetto ai più giovani, ci sarà un chilometraggio
maggiore e qualche stimolo in più sulla potenza aerobica o la capacità
lattacida. Preciso comunque che quanto appena detto non vale al crescere della
distanza di gara, un programma di preparazione alla mezza o alla maratona ha le
sue caratteristiche peculiari, tanto che distanze simili non sono nemmeno
previste a livello giovanile.
Se per un master è normale allenarsi
in solitudine, quali sono i vantaggi di un allenamento collettivo e come viene
organizzato in un gruppo eterogeneo di atleti?
Credo che allenarsi in gruppo sia
importante sotto molti aspetti, per sopportare meglio i lunghi o le prove
ripetute in pista, per scambiare qualche battuta nei momenti di pausa, per lo
spirito di emulazione e di confronto che sorge all’interno del gruppo. Tuttavia,
un gruppo troppo numeroso può degenerare nella confusione e rende comunque
difficile l’analisi del singolo gesto tecnico e la correzione degli errori. Il
rischio è quello di appiattire l’allenamento su di un livello medio
penalizzando i più dotati. L’ideale per me sarebbe un gruppo di 5-6 persone. All’organizzazione
del lavoro ho già in parte accennato nelle risposte precedenti. Posso
aggiungere che è importante valutare bene gli spazi, il materiale a
disposizione e i tempi della seduta. Ad esempio, se gli atleti eseguono
l’esercizio uno per volta rischiano di rimanere fermi per troppo tempo tra una
ripetizione e l’altra (e così, soprattutto con i più piccoli, si può stare
certi che l’attenzione viene meno!). Un buon metodo può essere in certi casi
quello di lavorare in circuito, in modo che tutti eseguano contemporaneamente,
passando poi ciascuno alla stazione successiva. In questo modo è possibile
anche controllare il rapporto tra tempi di lavoro e di recupero e variare
quindi intensità e densità del carico. Con un gruppo eterogeneo cerco poi di
predisporre una struttura base dell’allenamento, fatta di esercitazioni comuni,
su cui inserire le variazioni soggettive di ripetizioni, carichi, ecc. A questo
aggiungo, soprattutto nel periodo agonistico, alcune prove specifiche per i
singoli in base alle specialità, ed in questi momenti posso assicurare che non
è semplice seguire uno o due che devono lanciare e contemporaneamente
cronometrare altri che corrono, per fortuna a volte ci si dà una mano tra i
diversi tecnici.
C’è un consiglio che ti sentiresti
di dare a chi quotidianamente calza le scarpe per allenarsi?
Dalla fatica che stai per compiere cerca
sempre di trarre qualche beneficio, divertimento incluso, qualche miglioramento,
di imparare qualcosa. La voglia di calzare le scarpe ogni giorno deve essere un
insegnamento a superare le difficoltà che ci troviamo di fronte.
Una delle domande ricorrenti che mi sono
arrivate è sulla richiesta economica. Qual è il costo per farsi seguire te?
Il discorso è un po’ diverso, io non sono
un libero professionista del training, alleno nell’ambito di una società
sportiva, dove chi si iscrive alla società pagando una quota viene affidato ad
un tecnico.
Grazie per la disponibilità e se volessi
indicarci dove i lettori di Bio Correndo ti possono trovare sarebbe di grande
utilità!
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