domenica 29 marzo 2020

Elisabetta Reale (runner e infermiera): non siamo eroi, è l'unica scelta possibile!

Il mondo del Podismo è ricco di storie emozionanti, alcune sportive altre per l'attualità.
Diversi i runner in prima fila in questo momento di grande emergenza; diversi i medici e gli infermieri che condividono le nostre linee di partenza; alcuni in questi giorni sono particolarmente esposti, ma nonostante questo non si tirano indietro.

Una di queste è Elisabetta Reale che spazia dalla Liguria all'alessandrino portando in giro i colori del Gruppo Città di Genova con il suo proverbiale sorriso. Ieri un suo socialpost al termine del turno di lavoro rappresenta lo stato attuale di chi come lei ogni giorno deve affrontare l'emergenza sanitaria.

Elisabetta, innanzitutto, come stai? 

- inizia con un non so cosa rispondere prima ancora dei convenevoli, ma poi non c'è (quasi) bisogno di far domande; è un fiume emotivo in piena di parole e sensazioni di queste settimane intense -

"Bene, fisicamente sto bene, al lavoro il peggio è stato all'inizio. I primi contagi in Lombardia, le mie colleghe ed io che cercavamo in tutti i modi di far comprendere la gravità della situazione anche sui gruppi whatsapp, ma nessuno ci credeva. Chiedevamo di proteggersi, di adottare le cautele che oggi sappiamo e che quasi tutti rispettano, ma all'inizio passavo e passavamo per allarmisti perchè in tanti pensavano che fosse una banale influenza".

... ma non era così e la tua condizione lavorativa com'è cambiata?

"Io lavoro al Maxillo Facciale all'Ospedale San Martino di Genova; all'inizio abbiamo continuato a lavorare nel nostro campo, poi i primi arrivi con il Coronavirus, la nostra area diventata Covid. Tutto nuovo e non eravamo preparati. E' stato anche difficile trovare un equilibrio con nuovi colleghi, ma è stato ed è tutto pazzesco. Nonostante che con alcuni colleghi non abbiamo mai lavorato insieme si è subito creata una grande cooperazione e intesa, oltre che ad una solidarietà fra di noi incredibile. Ci si prenda cura anche fra colleghi e non solo dei ricoverati. Pensa solo alla svestizione a fine turno. E' complessa, dobbiamo essere in due ed è un attimo che ci si possa contagiare, ma ogni manovra è fatta con la massima attenzione per l'altro".

la voce di Elisabetta è rotta dall'emozione ogni tanto si commuove nel pensare ai momenti vissuti.

"E poi ci sono i pazienti. Ci prendiamo cura di loro, lo abbiamo sempre fatto, ma ora tutti si accorgono del nostro lavoro. Non siamo eroi e ti prego non scrivere che lo siamo. Per loro è davvero difficile. I più giovani si mettono in contatto con i familiari con le video chiamate, i più anziani sono soli, isolati, smarriti; non possono avere contatti con nessuno se non con noi.

..."Quando ero bambina, alle elementari, scrivevo che volevo essere un'infermiera e anche se qualcuno prima di questo periodo pensava che il nostro lavoro non fosse importante, io ho sempre lavorato con la massima dedizione"

prosegue senza soluzione ed io l'ascolto...

"La verità è che dopo tanti anni avevo perso un po' di entusiasmo, ora mi è tornata una carica e motivazione incredibile. Lavoro, affronto i turni, anche per essere un esempio per mia figlia, per tutti coloro che hanno bisogno, essere un esempio e no, non posso e non possiamo tirarci indietro".

Ecco la figlia, il marito, gli affetti. Come sono i rapporti fuori dal luogo di lavoro?

Ho paura per loro. Ho i genitori anziani che non posso andare a trovare, cerco di vivere isolata in casa; non posso permettermi contatti con loro. E' dura, ma lo è per tutti. Non ho paura per me, ma per loro e così adotto ogni precauzione per salvaguardarli.

Dalle tue parole emerge soprattutto una grande emozione e una grande partecipazione a questo momento. Sei positiva come atteggiamento ma ci sono stati momenti di sconforto?

"Certo, soprattutto all'inizio. Tutto era nuovo e difficile. Quando il reparto era ancora aperto arrivavano pazienti che potenzialmente potevano essere Covid, poi i primi casi, la paura per i familiari a casa. A fine turno capitava di rincuorare qualche collega; qualcuno piangeva anche. Soprattutto chi aveva figli piccoli a cui era impossibile spiegare perchè la mamma non li poteva abbracciare"

La ringrazio e le ancora dopo un profluvio di parole ed emozioni mi dice:" Ma io non ho molto da raccontare". Lei non lo sa ma in qualche momento della chiacchierata mi sono commosso e la sua testimonianza è di grande impatto.

Ci salutiamo non prima però di una sua ultima battuta:

"Ora sono più serena; non siamo eroi, è l'unica scelta possibile; siamo soldati in guerra senza armi; ma dobbiamo esserci".

Grazie Elisabetta e grazie a tutti coloro che sono in prima linea in questo momento.



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