Il nonno Silvio, mio nonno, mi tramandò la passione per la fede calcistica della squadra di Torino o forse il fatto che fosse morto che ero ancora bambino mi fece scegliere la sua passione per il granata. Che squadrava tifava il nonno? Il Toro!
GRANATA. Sarà anche il rosso la passione, ma quel colore seppur sbiadito nella mio interesse per il football, resta il simbolo del mio tifo sfegatato d'un tempo. Luigi Radice era l'Allenatore. La A maiuscola per quello che aveva portato il Toro allo scudetto. L'aveva fatto con due giocatori simbolo, i gemelli del gol Graziani e PuliCIclone. Ricordo un pezzo di Gramellini a cavallo tra gli anni 90 e 2000 in cui, per prendere in giro un "torello", raccontava che al solo nominarli, i gemelli del gol, i suoi compagni di scuola nella fede "pigiama" si nascondevano sotto i banchi. Tutte metafore per enfatizzare il Cuore Toro, forse eccessive, ma senza quelle la narrazione sarebbe insipida o se preferite sono il Barolo accompagnato ad un piatto succulento.
Era il 1976. Era il 16 maggio e Luigi, Gigi Radice, veniva portato in spalla dai suoi giocatori dopo un 1 a 1 con il Cesena, risultato sufficiente per essere campioni d'Italia per la sconfitta della Juventus a Perugia con il gol di Renato Curi, proprio il giocatore a cui è intitolato lo stadio umbro. Il comunale impazzito, la gente euforica e beati loro senza social, senza sguardo sullo smartphone, con la sola voglia di scendere per le strade della città e gioire. Emozioni d'altri tempi che il bianco e nero - mai associazione fu più inopportuna - delle immagini dell'epoca rendono imperiture e mai faranno dimenticare, Luigi per tutti Gigi Radice.
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