L'esperienza del fisioterapista runner a disposizione del Podisti! Si parla di traumi e tutti noi ne sappiamo ahinoi qualcosa!
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CAP 3.1 GLI SHOCK DELLA CORSA
L'attenzione che poniamo alla qualità del
gesto motorio della corsa non è legato alla volontà di creare un popolo di
esteti che si muove, non è l'apparenza che deve interessare il podista, ma la
sostanza. Spesso si reputa la corsa come una attività motoria innata di cui
l'essere umano è padrone, ma siamo sicuri di saper correre nel modo corretto?
Oppure, siamo sicuri di saper gestire attentamente i nostri allenamenti?
La corsa di durata, nella sua semplicità esecutiva, è potenzialmente molto traumatica e può generare una lunga serie di infortuni dovuti alla ripetitività del gesto. Dal punto di vista tecnico, la corsa rientra nell'ambito di quelle discipline sportive definite “cicliche” ovvero dove il gesto è ripetitivo e sempre uguale; fa eccezione la corsa in natura, il Trail Running, dove la irregolarità del fondo crea una notevole varietà del gesto. E' evidente che un difetto nello svolgimento della meccanica della corsa, seppur piccolo, se ripetuto numerose volte consecutive è in grado di generare una patologia microtraumatica ai tendini, ai muscoli o alle articolazioni.
La corsa di durata, nella sua semplicità esecutiva, è potenzialmente molto traumatica e può generare una lunga serie di infortuni dovuti alla ripetitività del gesto. Dal punto di vista tecnico, la corsa rientra nell'ambito di quelle discipline sportive definite “cicliche” ovvero dove il gesto è ripetitivo e sempre uguale; fa eccezione la corsa in natura, il Trail Running, dove la irregolarità del fondo crea una notevole varietà del gesto. E' evidente che un difetto nello svolgimento della meccanica della corsa, seppur piccolo, se ripetuto numerose volte consecutive è in grado di generare una patologia microtraumatica ai tendini, ai muscoli o alle articolazioni.
Il Centro Nazionale della Sanità di Atlanta,
in Georgia ha rilevato che più di un terzo
degli appassionati di jogging e maratone, che corrono almeno 10km alla
settimana, sarà ogni anno vittima di un qualche infortunio che li obbligherà a
curarsi, fermarsi e a ridurre i chilometri percorsi; questi dati si fondano su
un’inchiesta che ha preso in esame coloro che corrono dai 48 ai 62 km, in
media, alla settimana. Ne è emerso che gli uomini hanno il 40% di possibilità
di incorrere in un incidente, mentre per le donne si arriva addirittura al 60%.
I danni più frequenti colpiscono il ginocchio e a seguire i piedi, la tibia, il
tallone e la schiena.
Nella esecuzione della camminata, l’appoggio del tallone determina un
impatto che va dall’80 al 100% del peso corporeo, mentre per una persona che fa
jogging, il contro-shock plantare corrisponde a una forza che va da 3 a 5 volte
il peso del corpo, a seconda del profilo, della natura del terreno (asfalto,
terra, etc..), della velocità della corsa e del peso del corridore.
L’impatto dei piedi sul suolo, assorbito solo
in parte dalle scarpe (a seconda della qualità), è scaricato direttamente sulle
gambe e sulla schiena. Inoltre, la minima anomalia meccanica antropometrica
(piede piatto, piede rigido, ginocchio varo o valgo, gamba più corta) che
durante la marcia sarà quasi impercettibile, può potenzialmente trasformarsi
durante la corsa in una lesione microtraumatica.
Per ogni maratona, a seconda dell’ampiezza
della falcata (da meno di un metro per i podisti più lenti a circa due metri
per i migliori maratoneti), ciascun piede entra in contatto con il suolo più o
meno dalle 26.500 alle 10.500 volte e, considerando che gli atleti di élite
sono una minoranza rispetto alla massa, possiamo considerare una media di
20.000 contatti al suolo.
Se la massa corporea si attesta sui 75kg, il carico globale sopportato da
un singolo piede si avvicinerà, per un corridore medio, a 4500 tonnellate (75kg
x 3 volte il peso del corpo x 20.000 collisioni plantari). Al contrario, se il
peso corporeo non passa i 65kg, come avviene per la maggior parte dei corridori
di alto rango, la somma dell’impatto generato non sarà superiore alle 3900
tonnellate (65 x 3 x 20.00 shock). Seguendo questi calcoli, possiamo stimare
che 1 Kg di differenza nel peso dell'atleta, possa incidere, nel corso di una
maratona, di circa 60 tonnellate.
Correre su un suolo duro come l’asfalto o la
roccia è una situazione faticosa e traumatica non solo per i piedi, ma per il
corpo nel suo complesso. Le accelerazioni e le decelerazioni che si succedono
lungo il tracciato di gara si trasmettono lungo la colonna vertebrale e
provocano delle reazioni anche nelle sommità del corpo. Inoltre, ad ogni
interazione piede-scarpa-suolo, l’onda di ritorno, che costituisce la vera
energia vibrante negativa, si propaga durante la corsa ad una velocità di 120
km/h nelle ossa delle gambe e della colonna vertebrale. Ritroviamo 1/10 di
questa energia iniziale al livello del ginocchio, 1/20 all’altezza del bacino,
1/30 all'altezza del rachide cervicale.
Sono state effettuate diverse ricerche per
studiare le forze di reazione provocate dalla corsa e sono state effettuate
misurazioni con l’aiuto di rilevatori di forza miniaturizzati, incollati su
diverse parti della faccia plantare del piede così come su diverse pari del
corpo.
Il tipo di contatto del piede con il suolo
varia a seconda della velocità di spostamento. In generale, più si corre
lentamente, più si attacca il tallone: uno studio fatto su circa 3000 corridori
dal laboratorio di ricerca della Nike ha messo in evidenza che il 75% dei
corridori di endurance tocca il suolo con il tallone e il 23% con la pianta del
piede o l’avanpiede (il 2% è indeterminato).
Un’equipe medica belga di specialisti in bio-meccanica ha ottenuto risultati simili: il 63% dei soggetti testati ha un contatto con il suolo attraverso il tallone, mentre solo il 37% ha l’attacco con la pianta del piede. La durata d’appoggio del piede al suolo era significativamente più lunga per il gruppo che attaccava con il tallone (30/100 di secondo) rispetto a quello che attaccava con l'avampiede (27/100 di secondo).
Un’equipe medica belga di specialisti in bio-meccanica ha ottenuto risultati simili: il 63% dei soggetti testati ha un contatto con il suolo attraverso il tallone, mentre solo il 37% ha l’attacco con la pianta del piede. La durata d’appoggio del piede al suolo era significativamente più lunga per il gruppo che attaccava con il tallone (30/100 di secondo) rispetto a quello che attaccava con l'avampiede (27/100 di secondo).
La pianta del piede deve adattarsi a diverse
tipologie di terreno, specialmente nel trail running, ma dobbiamo considerare
che il tallone non è un buon ammortizzatore a differenza dell'avampiede che,
grazie ad un sistema complesso di ossa, legamenti e muscoli, assorbe
naturalmente la maggior parte degli shock.
Gli atleti che appoggiano col tallone
presentano l’inconveniente di un contatto tallone-suolo così breve che l’onda
vibrante di ritorno riesce a propagarsi attraverso il corpo prima ancora che
possa essere tamponata dai sistemi ammortizzanti costituiti da legamenti e muscoli.
Le info: www.massafisio.it
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