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Di Fulvio Massa:
I benefici primordiali della corsa
Sono rimasto affascinato dalle parole del
biologo Bernd Heirich e dalle sue teorie relative all'essenza della corsa, in
relazione alla natura primordiale dell'uomo; secondo Heinrich, la corsa ed in
particolare la corsa in natura, avvicina l'uomo al comportamento animale,
permettendogli di vivere in prima persona esperienze essenziali come la fame,
la sete, il caldo, il freddo, la paura.
Stiamo parlando di situazioni, sentimenti ed emozioni represse dall'agio
e dalle comodità in cui ci sprofondiamo, la cui conoscenza non si impara
attraverso i libri ma deve essere vissuta in prima persona. Purtroppo la maggior parte degli esseri umani
neppure si rende conto di queste situazioni, tanto è immersa in un ruolo di
circostanza, protagonista del nulla, spettatore di un mondo virtuale costituito
dalle immagini e dai suoni provenienti dalle televisioni, dai pc, dai video
games, dai social network.
Utilizzo spesso la metafora del “Libretto delle
Istruzioni per l'Uso”. La maggior parte delle persone non legge questi
libretti, oppure li butta, ne dimentica i contenuti, molte persone non
ricordano dove hanno messo il proprio “libretto di istruzioni per l'uso”.
Viviamo in una società talmente oscurata mentalmente da ritenere logiche e
normali, situazioni in cui l'individuo si sveglia al mattino, mangia, si fa
portare da un mezzo di trasporto in ufficio, siede alla scrivania, mangia, si
risiede alla scrivania, si fa riportare a casa da un altro mezzo, rimangia e
aspetta la fine della giornata davanti alla televisione.
Senza polemizzare su
queste situazioni, mi voglio soffermare sul fatto che il corpo umano è una
complessa struttura biochimica basata sulla dinamica. Il movimento è alla base
delle principali funzioni espletate dal corpo umano. Le rigidità articolari
dell'apparato scheletrico, le ipotonie muscolari, le pigrizie intestinali, le
insufficienze venose, le stasi linfatiche, il sovrappeso, gli accumuli di
grasso nel sangue, le malattie cardiovascolari, il diabete.... sono solo alcuni
esempi di patologie estremamente comuni, che flagellano la nostra società. E'
proprio così, il corpo umano è una complessa struttura biochimica, basata sulla
dinamica e "la corsa" è dinamica.
Una dinamica globale, psicofisica, dove il corpo
trae vantaggi dalla attività fisica e contemporaneamente riscopre i propri
bisogni primordiali attraverso il filtro delle emozioni che solo l'immersione
nella natura può offrire.
Il libro:
Il libro:
La natura. Si, la Natura è in grado di
amplificare le sensazioni e le emozioni della corsa e per questo motivo voglio
fare un piccolo passo indietro, tornando a qualche decina di anni fa.
Nel momento in cui la corsa è
"rinata", ha trovato il proprio sviluppo sulla superficie che in quel
momento storico circondava gli esseri umani che
avvertivano il bisogno di praticarla, vale a dire l'asfalto.
Consideriamo che la maggior parte degli atleti adulti che oggi praticano il
podismo tradizionale, sono nati sportivamente proprio nel periodo in cui la
corsa era prevalentemente rappresentata dall'asfalto e dalla pista, con qualche
divagazione per le gare di cross e le campestri.
Come ho ricordato prima, ogni disciplina sportiva è figlia della
propria epoca e in questo momento storico, una nuova visione di corsa si sta
affermando e sviluppando, proprio in un periodo in cui la popolazione è molto
più sensibile, rispetto ad alcune decine di anni fa, nei confronti della
natura, dell'inquinamento del territorio, della valorizzazione dei territori
naturali e dello sport condotto all'aria aperta, a contatto stretto con
l'ambiente.
La corsa in natura si sta affiancando alla corsa tradizionale su
strada e sta offrendo allo sportivo una dimensione di dinamismo a 360°, dove la
direzione diventa la scoperta di se stesso, attraverso la natura. Ed ecco i
numeri in crescita, ed ecco il proliferare di gare e di atleti e assieme ad
essi, ecco crescere l'interesse dei media nei confronti delle
manifestazioni, e delle aziende nei
confronti di un mercato fino a pochi anni fa quasi inesistente. E da queste
considerazioni ribadisco ancora come la nostra intelligenza e la nostra cultura
debbano appoggiarsi su delle visioni globali del mondo sportivo, considerando
che la sua evoluzione è dinamica e si muove parallelamente a quella della
società in cui viviamo e per questo motivo sostengo fermamente che non esiste
la corsa di serie A e la corsa di serie B.
Codificare il prestigio delle gare
di corsa attraverso la sua identificazione in distanze e tipo di superficie
d'appoggio è estremamente riduttivo e costituisce una visione limitata dello
sviluppo storico che ha avuto la corsa in rapporto alla evoluzione dell'essere
umano. Addirittura, da un punto di vista squisitamente biomeccanico e
fisiologico la corsa in natura è decisamente più completa rispetto alla corsa
su strada in quanto coinvolge tutta una serie di muscoli stabilizzatori del
tronco, richiede l'agilità per superare i piccoli ostacoli, sviluppa
maggiormente la forza necessaria a superare i dislivelli, attiva continuamente
l'elaborazione di un progetto mentale che sviluppa un gesto motorio sempre
diverso. Quindi lode ai grandi atleti dell'atletica leggera, ai maratoneti,
capaci di esprimere gesti sportivi di elevato prestigio, ma lode agli atleti
che corrono fuori dall'asfalto e si misurano con le variabili dell'ambiente.
Anche le distanze nel secolo scorso si sono
standardizzate nelle misure comprese tra il mezzo fondo e la maratona e per
molti anni la 42 km è stata identificata come la gara limite. Per quanto la
maggior parte dei podisti oggi praticanti, sia nata e vissuta accanto a questi
assiomi, non è corretto lasciarsi coinvolgere da una mentalità effettivamente
superata e si sta facendo sempre più strada nel mondo della corsa e del trail running
in particolare, la consapevolezza che la distanza di 42 km non costituisca una
barriera invalicabile, anzi, sono in netto incremento le ultra maratone oppure
le distanze intermedie che non costituiscono le distanze olimpiche, ma sono in
grado di dare emozioni nuove agli atleti.
Nonostante
io sia favorevole a questa tendenza, trovo comunque doveroso fare alcune
considerazioni.
Stiamo
vivendo un periodo storico in cui si ambisce alla ricerca del limite, stiamo
facendo passare per “normale”, o quantomeno “consueto” un allenamento
domenicale in montagna di una quarantina di km, vogliamo convincere noi stessi
che una ultra maratona di 100km sia alla portata di qualsiasi atleta sano o che
non esistano limiti se non mentali. Per
carità, è ormai noto che il genere umano si sia distinto nel corso della sua
evoluzione per la capacità di essere molto resistente nell'affrontare dei
lunghi spostamenti; l'uomo, fin dagli albori, grazie alle sue doti di
marciatore/corridore, è stato in grado di sopravvivere cacciando le prede e
scappando dai predatori, l'essere umano è geneticamente predisposto alle corse
di lunga durata, specialmente in ambiente naturale.
E' noto e risaputo che i
grossi limiti alle nostre prestazioni siano di tipo mentale più che fisico e di
conseguenza la volontà, la caparbietà e la tenacia possano condurre gli atleti
a superare i propri limiti e raggiungere degli obiettivi sportivi di alto
livello. Ma attenzione, il fatto che milioni di anni fa l'essere umano
presentasse notevoli doti di endurance, non ci dà per scontato che lo sia ancor
oggi, in seguito all'indebolimento della specie dovuto all'evoluzione; nel
corso degli ultimi secoli la maggioranza della specie umana ha subito una
progressiva regressione della propria fisicità che ha raggiunto l'apice nel
periodo che va dal dopoguerra ad oggi, a causa delle facilitazioni indotte
dalla tecnologia e delle comodità sociali ad essa connesse, dai disordini
alimentari, dalla perdita del "Libretto di Istruzioni per l'Uso".
La
maggior parte degli adulti che partecipa alle gare podismo o di trail running
ha trascorso un'infanzia con le scarpette dotate di plantarini per il piede piatto,
inopportunamente inseriti nelle solette, mangiando omogeneizzati la cui filiera
produttiva era assolutamente sconosciuta e prendendo gli antibiotici dopo il
secondo giorno di febbre; siamo sicuri che la strada della corsa, in
particolare della corsa estrema sia aperta a tutti? Qual'è la durata
ragionevole per l'adattamento biologico di un atleta ad una maratona o ad una
gara di corsa in montagna di 40 ore? E qual'è il prezzo che l'organismo deve
tributare a questa pratica? Dal punto di vista medico e fisiologico le
conseguenze a medio e lungo termine delle gare di ultra distanza non sono
ancora ben note anche se ultimamente la scienza sta affrontando questo
argomento attraverso gruppi di ricerca di grande affidabilità. Se da un lato è
corretto ragionare sulla fattibilità di una gara estrema, è doveroso
interrogarsi sui criteri che ci portano a definire la “normalità” di una competizione
e ad interrogarci su che cosa sia estremo.
Un
atleta ben allenato a disputare maratone può considerare estrema una maratona
in montagna, così come un trailer abituato alla corsa su sentiero può
traumatizzarsi nel percorrere una distanza simile su asfalto. Un atleta ben
allenato su distanze intorno ai 10km può trovare estrema una maratona. Un
podista ben coordinato e con una corsa dinamicamente corretta che volesse
aumentare i chilometraggi o migliorare le prestazioni, avrà di fronte a se solo
i limiti dovuti agli allenamenti, ma nel momento in cui ci troviamo di fronte
un atleta con qualche imperfezione biomeccanica, un aumento dei volumi o delle
intensità potrebbe rivelarsi fonte di infortunio.
Il ruolo della informazione
tecnica in questo ambito riveste un'importanza enorme perché la velocità con
cui si sta sviluppando la pratica della corsa è dilagante e dobbiamo sempre
ricordare che la corsa accanto agli innumerevoli benefici psicofisici che
comporta, nasconde anche un alto potenziale di rischio per infortuni di natura
microtraumatica, ma di questo tratteremo in un prossimo capitolo.
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