venerdì 1 aprile 2016

"Formidabili" quelle scarpette blu di Paolo Zucca

E’ arrivata la primavera, le giornate si allungano e il desiderio di far attività fisica spinge molti sedentari a muoversi alla ricerca della miglior forma per la imminente prova costume.
Se i vecchi podisti possono ora verificare in gara la bontà dei lunghi invernali, schiere di insospettabili runners, persuasi da articoli di riviste patinate o da tempestivi servizi televisivi escono dal letargo sfoggiando look aggressivi e multicolori da esibire per le vie cittadine o sui vari social alla ricerca di like di compiacimento. In loro soccorso intervengono i brand più famosi proponendo abbigliamento tecnico ultra performante e soprattutto calzature dalle caratteristiche particolari, super innovative, a tiratura limitata, che garantiscono una falcata alla keniana e un guadagno di secondi ogni km. Io ritengo che il guadagno lo facciano le ditte, visti i prezzi non molto abbordabili e la loro breve durata di vita ma tant’è, come non si può rinunciare all’ultima versione di smartphone così si deve essere trendy anche nella scelta delle scarpe.
Di fronte a così tanta frenesia, pensando anche all’evoluzione dei materiali e al fatto che son ancora fermo ai box, mi è tornato in mente un episodio di trent’anni fa.
Agosto 1986, avevo iniziato il secondo mese di CAR avanzato a Viterbo alla scuola VAM dell’ Aeronautica Militare, il corpo specializzato in vigilanza. Nonostante i ventisei anni compiuti, la distanza da casa, nessuna conoscenza (ero addirittura l’unico piemontese tra romani, veneti e sardi) stavo trascorrendo uno dei periodi più allegri della mia giovinezza.
Nella fase di selezione, ad inizio corso, ero riuscito ad inserirmi in un plotone ristretto di reclute sportive a vario livello. Tra nuotatori, tennisti, giocatori di pallacanestro, hockey, calciatori (tra di loro c’era un futuro portiere di serie A) ero l’unico praticante atletica anche se, modestamente, da amatore. Ascoltando i loro discorsi durante le libere uscite ero un po’ a disagio sentendo delle loro imprese, vittorie e campionati conquistati. Tra noi però c’era molto affiatamento, il “fare sport”ci rendeva più pronti ad eseguire comandi, marce, esercizi ed esser disciplinati a differenza di altri plotoni più scomposti. Nel tempo libero poi era capitato di giocare a basket e calcio e, passare la palla a un collega alto due metri o ricevere un lancio con le mani dal portiere fin a centrocampo, non era per me cosa normale e ciò mi gratificava. Mi sarebbe piaciuto correre qualche volta ma, dopo marce e servizi vari, era improponibile per la stanchezza ed il caldo afoso e, oltretutto, non avevo abbigliamento e scarpe adeguati; mi limitavo allora a parlare delle mie strapaesane e di qualche gara in pista, con molto pudore e quasi in soggezione di fronte a ragazzi di qualche anno più giovani ma con tanta esperienza agonistica di qualità.
Un giorno vidi nella bacheca dello spaccio un manifesto con indicazione di una corsa podistica di alcuni giri, di imprecisata distanza, all’interno dell’aeroporto, con licenza premio per i primi dieci classificati. La voglia di partecipare era tanta anche se eran oltre trenta giorni che non correvo e poi era obbligatoria la tenuta d’ordinanza: maglietta verde, pantaloncini in tela bianca, calze in ruvido cotonaccio e soprattutto le mitiche scarpette blu di una nota azienda torinese. Alla fine, fui quasi trascinato a partecipare insieme ad altri colleghi seppur un po’timoroso per il confronto.
Anche se era tardo pomeriggio e con clima assai torrido vedo una marea di ragazzi di tutte le compagnie, dai fisici più disparati (alti, slanciati ma anche buzziconi, tozzi, con piedi piatti ecc):la voglia di ottener giorni di permesso faceva gola a tutti! Siamo inquadrati (come al solito) da un maresciallo sui quarant’anni dal tipico fisico asciutto del podista, con maglietta griffata “Aeronautica” e scarpette tecniche, che presto inizia il suo sermone. Ci erudisce sulla funzione della corsa, dei suoi benefici prendendo di mira qualcuno di noi non propriamente atletico e generalizza sulla qualità di vita dei giovani per lui imbranati e poco sportivi (i classici pappamolla di kubrickiana memoria). A pelle già mi risultava poco simpatico per la sua supponenza e sicumera.
La gara consisteva in due di giri dell’aeroporto, tra i lunghi viali, prati e attraversamento della “pista di fuoco” (ndr la pista di decollo aerei su cui avevamo sfilato per il giuramento) Lui avrebbe condotto come una safety car il primo giro e poi chi sarebbe stato in grado di allungare ne avrebbe avuto la facoltà. Dopo la sua iniziale predica qualcuno spaventato o eccessivamente intimorito non se l’era sentita di iniziare e non era partito, io e altri un po’ feriti nell’orgoglio decidemmo di vedere da vicino le qualità podistiche di quel sottoufficiale.
Si parte in modo blando ma, dopo alcune centinaia di metri, già in diversi abbandonano, il gruppo si assottiglia e quando il maresciallo aumenta progressivamente, al termine del primo giro, rimaniamo in una trentina circa. Lo seguo da dietro e osservo coloro che lo affiancano: sta parlando male di quelli che avevano abbandonato e si compiace che nessuno abbia qualcosa da ridire o forse fiato per rispondergli. Mi avvicino allora e, per rompere il ghiaccio, chiedo qualcosa sulle sue scarpe tecniche, accenno brevemente ad alcune mie gare e gli domando quando si poteva allungare. Stupito forse più dalla competenza che dalla mia freschezza  mi risponde che è ancora presto ma, voltata la curva, dà uno strappo violento (lui pensa) assestandosi intorno ai quattro/km. Son sempre al suo fianco, noto che fatica a rispondere a mie brevi domande, mi volto e vedo che siamo rimasti in pochi, forse una mezza dozzina. Ho capito che è ora terminare la mia commedia:”maresciallo io proverei ad allungare…” Non c’è risposta da parte sua, probabilmente il precedente strappo lo aveva imballato. Resto solo! Non mi era mai capitato, nemmeno nelle corse podistiche di paese provare l’ebbrezza di essere solo davanti a tutti! Penso di correre intorno ai 3.30/3.40 (in quegli anni facevo gare di brevi e 800m e quindi ero abbastanza veloce) Ci son ancora due lunghi vialoni, il passaggio vicino alla pista di fuoco e sto gustandomi una mia piccola ma grande soddisfazione, però che bruciore ai piedi! Le spesse calze di cotone sfregandosi con la tela delle scarpe da ginnastica mi avevano aperto chissà quante piaghe sotto gli alluci e nel calcagno. Cerco di resistere ma, per non sentir dolore, avevo mutato la postura che ora era tutta sbilenca. Temo che stia per arrivarmi uno stiramento al  polpaccio,rallento e presto vengo affiancato prima da un ragazzo e poi da altri due. L’arrivo è ormai vicino: pazienza, son quarto e, comunque sia, sempre nei primi dieci che si guadagneranno la licenza premio. Così sarà. Termino tutto storto e piegato dal dolore, vedo la tela della scarpetta scura per gli aloni di sangue; non oso togliermi i calzini e racconto quello che mi è successo a quelli che mi han preceduto. Dopo qualche secondo arriva anche il maresciallo assai provato. Nei minuti a seguire giungono gli altri, molti han abbandonato. Ci avviciniamo per chiedere informazioni sulla licenza. Con nostra delusione ci dice che, poichè molti si eran ritirati, e qualcuno era in condizioni precarie per lui non aveva senso concedere i permessi; tuttavia, per chi voleva, c’era la possibilità di far domanda, nei giorni seguenti, per inserirsi nel gruppo sportivo con sede a Vigna di Valle; lui stesso avrebbe garantito sull’arruolamento. Nessuno gli rispose, anzi qualcuno biascicava imprecazioni sottovoce. Tornando in camerata per fare la doccia pensavo a quella opportunità ma mi era stato promessa una destinazione vicino a casa: mi mancavano ancora due esami per prendere il pezzo di carta e non potevo distrarmi. Nei giorni successivi ebbi difficoltà a calzar gli anfibi per le “stimmate” che mi avevan scorticato la pelle così, quando la domenica successiva venni comandato di corvèe, se da una parte mi spiaceva non andar a Roma in libera uscita, la pulizia delle camerate però mi permetteva di rifiatare.
Quel pomeriggio ero chinato con lo scopettone a “far la schiuma” nella turca quando, voltandomi, mi trovai di fronte il maresciallo-podista che penso mi stesse osservando da un po’. Sorpreso lo saluto e penso: ora gli accenno della corsa, di Vigna di Valle o magari sarà lui che mi chiede di correre insieme. Mi anticipa: “Allievo, guardi che nel cesso ci son ancora delle macchie!” e chiudendo la porta orina, senza tirare l’acqua, dove avevo appena lavato. Provai una strana sensazione mista tra delusione,amarezza e rabbia. Avrei voluto rispondergli a tono, non sull’appunto ma sulle sue presunte doti podistiche. Venni poi a sapere da alcuni firmaioli che era solito organizzare queste gare, sempre senza premio finale, per dimostrare la sua superiorità e sbeffeggiare le giovani reclute. Probabilmente ero stato uno dei pochi ad avergli tenuto testa e da buon militare non lo tollerava.
Arrivammo a fine settembre e quando nell’hangar ci vennero lette le destinazioni venni assegnato, come speravo, vicino a casa dove avrei però trascorso dieci mesi a far guardie all’aperto fino a due giorni dal congedo, a vedere albe, tramonti tra gelo, neve e alterandomi ogni fase possibile di sonno.
Chissà cosa sarebbe successo se fossi andato a Vigna di Valle? Un amico che vi aveva prestato servizio mi raccontò che in quegli anni gli avieri non eran tutti campioni affermati,anzi spesso erano amatori-evoluti che fruivano con frequenza di licenze per curare a casa presunti malanni, far riabilitazione. Bastava conoscere il graduato referente e partecipare a qualche gara militare.
Tra qualche mese dovrei ritornare con alcuni amici a Viterbo in occasione dell’annuale raduno VAM per festeggiare i 30 anni dal servizio. Rivedrò le camerate, la mensa,il campo da basket, la pista di fuoco, gli aerei, gli elicotteri, i vialoni. Sicuramente quel maresciallo,di cui ho dimenticato il cognome sarà già in pensione, ma quando mi ritroverò vicino a quella curva come nel flash back di un film rivivrò quei momenti, quella sensazione piacevole di esser solo davanti a tutti, il fuoco in quelle scarpette blu da ginnastica e il ricordo di quei due mesi, duri ma indimenticabili, a Viterbo.


Paolo Zucca

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