6 gennaio 1994:
Dopo lungo lavoro ai fianchi son riuscito a trascinare almeno Giuliano (del
gruppo Ata) a partecipare al famoso Campaccio. Convincere altri a uscire dai
propri orticelli per me è sempre stato faticoso anche per la paura comune di
far brutte figure, venire presto doppiati e tornarsene a casa abbacchiati con
la coda tra le gambe.
Questa volta però è organizzato anche il cross corto (ndr in quegli anni si era cercato di allestire con scarsa fortuna, per qualche tempo, le gare anche su una distanza ridotta per permettere la partecipazione ai mezzofondisti e senza la richiesta del minimo di gara) e poi la possibilità di vedere da vicino la gara dei campioni sulla distanza classica, allora di 12 km, era un’occasione irripetibile.
Questa volta però è organizzato anche il cross corto (ndr in quegli anni si era cercato di allestire con scarsa fortuna, per qualche tempo, le gare anche su una distanza ridotta per permettere la partecipazione ai mezzofondisti e senza la richiesta del minimo di gara) e poi la possibilità di vedere da vicino la gara dei campioni sulla distanza classica, allora di 12 km, era un’occasione irripetibile.
La
sveglia è ad un’ora impossibile, anche per la paura di perderci nella periferia
milanese e la giornata si presenta allucinante, prima per la nebbia nel
tragitto e poi per la pioggia incessante e il freddo pungente all’arrivo.
Arriviamo
in extremis per ritirare il pettorale e fare un minimo di riscaldamento che già
si parte! Dopo il giro di lancio nel campo sportivo ci troviam subito nel
Campaccio e mai peggiorativo poteva essere più appropriato: buche con acqua fin
quasi al ginocchio, fango ad effetto ventosa che non lasciava togliere il piede
e soprattutto quel toboga di salite e discese affrontati gomito a gomito con
atleti che imprecavano per la pioggia torrenziale, il fango e gli schizzi di
chi era davanti. Alla fine per fortuna terminiamo incolumi quei 3 giri nelle
retrovie e stanchi, ma anche divertiti, ci portiamo all’auto per prendere le
borse e cambiarci nello spogliatoio. Anche lì è però un’impresa accedervi
perché vediamo una lunga coda di atleti. Desistiamo e pensiamo allora di
recarci nel salone delle scuole dove avevamo prima ritirato il pettorale e
almeno stare al coperto.
Con sorpresa notiamo che dietro ci sono altri spogliatoi
ancora vuoti dei concorrenti della gara lunga e allora rischiamo l’entrata. Son
ampi e riscaldati e finalmente possiamo cambiarci e toglierci il fango di
dosso. Siamo abbastanza sconvolti ma euforici al punto giusto per commentare
l’impresa quando entrano tre persone che ci guardano un po’ perplessi. Due sono
tecnici, il terzo è lui Haile Gebrselassie, fresco vincitore dei
10000 ai mondiali di Stoccarda e futuro campione olimpico. Ci sorride, con quel
famoso sorriso che l’ha reso celebre oltre che per le sue imprese, vedendo le
nostre penose condizioni e si siede fianco a noi ascoltando i tecnici che
probabilmente gli dicono di aspettare al caldo il pulmino che poi lo avrebbe
portato alla partenza. Rimane solo con noi e inizia a prepararsi; siam talmente
imbarazzati di avere un campione vicino che non riusciam a spiccicar parola. Io
dico solo a Giuliano di precipitarsi a prendere la macchina fotografica in
auto. “Ma no che poi non vuole, ma poi va via…” mi dice; alla fine riesco a convincerlo. Rimango da
solo col Gebre per 20/30 secondi: quante cose vorrei
chiedergli ma lo scarso inglese e soprattutto il ricordo di incontri
passati con calciatori permalosi e altri campioni scontrosi mi blocca.
Peccato: si apre la porta, sono i tecnici che avvisano che è arrivato il
pulmino portandosi via il Gebre che mi mormora un “Hi” con il suo
famoso sorriso. Poco dopo arriva Giuliano con la macchina fotografica, intuisce
la mia delusione e decidiamo di andare a vedere la gara.Panetta dà
come al solito spettacolo nei primi giri con scatti e allunghi, un
giovane Baldini con Modica e Pusterla fan
quello che possono nel gruppo mentre Kosgei, Bargentuny e Kapkori sembra
passeggino svogliatamente. A due giri dalla fine il Gebre allunga
e la sua corsa si trasforma quasi in levitazione, in lontananza, nel buio di
quella giornata di pioggia si vede arrivare la sua piccola inconfondibile
figura nera, con guanti bianchi quasi immacolati, e la sua leggerezza sul
fango, mentre gli altri affondano miseramente per lo sforzo provato. Alla fine
vince nettamente e possiam andare a casa soddisfatti di aver visto da vicino un
tale spettacolo di stile e efficienza di corsa.
Era appena cominciato il 1994 e per il Gebre iniziava
la sua sfavillante carriera fatta di tre vittorie ai mondiali, due alle
olimpiadi, di memorabili duelli con Paul Tergat e
di ripetuti record mondiali sulla maratona. Io invece nel mio piccolo a
novembre avrei esordito a Cesano Boscone nella mia prima 42 e qualche volta
indirettamente avrei ciabattato nello stesso giorno sulla strada del campione,
non ultimo a Berlino nel 2011, in occasione della maratona.Peccato per
quell'attimo non colto...
(RACCONTO
SCRITTO NEL 2012)
VENTUN’ANNI
DOPO
Prendo in parte a prestito il titolo del
famoso libro di Alexandre Dumas per una piccola appendice al precedente
racconto.
Sono a Milano ad accompagnare gli amici
di società che partecipano alla staffetta 4x10 km e anche per tentare di
assistere, almeno moralmente, gli altri colleghi che affrontano la dura
maratona. A dire il vero tutti però sanno il motivo che mi ha spinto alla
levataccia e anche alla fatica di stare in piedi diverse ore (con inevitabile
sofferenza per il mio piede malconcio): è il tentativo di incontrare il mio
mito!
So che Haile Gebrselassie è già a Milano
da venerdì (per doveri di sponsor) e si è prodigato in inviti, interviste,
saluti e conferenze e so pure che il Gebre avrebbe corso domenica una frazione
della staffetta ma non sapevo quale, forse l’ultima per la passerella finale o
la prima per le inquadrature televisive? Stavolta non me lo voglio perdere,
chissà quando ritorna in Italia…
Mi trovo all’inizio di Corso Venezia e
seguo i miei soci nei preparativi prima della partenza:chi mangia un piatto di
riso, chi continua a messaggiare, chi si sistema il taping sulle giunture per
non far cadere tutta l’impalcatura, chi non ha ancora capito a chi dare le
borse, chi ha propositi bellicosi di sfida contro l’altra squadra. Son
sensazioni e momenti che non provo ormai da diversi mesi (oggi son 6 mesi
esatti dall’ultima gara) e devo purtroppo dire che mi sto abituando a questa
situazione di quasi imbucato, anche se ora la mente rimugina su cosa devo fare
per cercare il Gebre. L’attesa aumenta e siamo quasi vicino all’ora dello
sparo.
Toh guarda… il luogo dove siamo
accampati è il rettilineo in cui i top runners stanno facendo riscaldamento. Mi
scappa un po’da ridere a vedere la loro agilità negli allunghi confrontandoli
al fisico non propriamente slanciato dei miei soci che si stan svestendo e
impomatando. Alla spicciolata arrivano tutti, c’è persino Meucci (ndr campione
europeo maratona) in borghese e riesco ad avere una foto con lui, ma ormai
manca poco e cerco di portarmi il più vicino possibile allo start per iniziare
la ricerca quando girandomi, quasi per caso, ecco l’apparizione! E’ lui, il
Gebre, ancora più minuto ed esile di quanto ricordassi, in tuta azzurra
affiancato da una signorina dello staff e due giornalisti. Apro lo zainetto e
consegno la macchina fotografica ad Alessandro e gli "intimo" di
tenersi pronto e mi dirigo, forse con eccessivo slancio, verso il Gebre che un
pò rimane stupito. Alla mia richiesta di “picture” acconsente subito e, mentre
lo abbraccio, a stento gli biascico “Do you remember cross country campaccio
nineteen ninety four, rain, mud? I runned before you..”qualcosa capisce, mi
sorride ancora di più e mi mormora “ya, good!” (leggerò poi, in una intervista
di qualche giorno prima alla gazzetta, che il ricordo che aveva dell’Italia era
appunto il fango e l’acqua di quel campaccio).
Ho fatto da apripista, dopo di me si
avvicinano altri podisti (i "runners" della domenica che non sanno
nemmeno con chi stanno facendo la foto, ma se c’è tanta richiesta, quell’atleta
sarà pure famoso); ora lo portano via e scortano alla partenza per la degna
presentazione con Baldini, gli altri atleti e permettergli un minimo di
riscaldamento prima della partenza della sua frazione.
Questa volta son stato fortunato fossi
andato via prima per aspettarlo al cambio della 3^ frazione non l’avrei visto…
Guarda come è strana la vita che, a
volte, regala queste strane situazioni; come in un film forse il Grande Regista
ha previsto che in questo giorno particolare avvenisse quell’incontro ricercato
per 21 anni. Eravamo entrambi a Berlino a correre la 42 nel 2011: lui tirava
generosamente come un gregario un ragazzino a battergli il mondiale ed io
festeggiavo la mia 50^ maratona:sarebbe stato bello incontrarlo allora. Oggi
sono 6 mesi esatti che non corro e, invece di sottopormi presto a un nuovo
intervento, mi sarebbe piaciuto correre al suo fianco, almeno i primi metri...
Qualcuno leggendo queste righe (magari
non della vecchia guardia oppure freddo ed insensibile alla gioia della piccole
cose) potrebbe sorridere..Non è stato l’incontro con una vecchia fiamma che ci
aveva fatto battere il cuore da ragazzo o l’abbraccio con un vecchio compagno
di scuola e neppure il ritrovamento di una preziosa cosa persa. Lo posso
definire un trait d’union di memorie e ricordi di tante cose positive e
negative della vita. Da quel lontano 1994 di acqua sotto i ponti ne è passata
veramente tanta. Tralasciando la sfera personale, in quella sportiva io ho
fatto qualche maratona ed ironman, il Gebre (oltre ad essere diventata la sigla
di molte mie password…) ha vinto un pò di mondiali, olimpiadi e stabilito
infinità di record. Ora a 42 anni continua a correre per diletto, per
promuovere il suo sponsor e la sua immagine. È diventato un uomo d’affari tra i
più ricchi d’Etiopia ma non si è scordato delle sue umili origini; infatti ha
aperto scuole e centri di sostegno e assistenza per poveri e bisognosi ed è
venerato dal suo popolo che vede in lui il prossimo presidente della
repubblica.
Con il suo sorriso contagioso e i suoi
modi garbati e trascinanti riuscirà sicuramente nel suo intento come lo scorso
venerdì a Milano quando, dopo l’inaugurazione di un negozio sportivo, si è
spinto a corricchiare nel parco con alcuni tapascioni ed è riuscito a
coinvolgere ragazzini fermi sulle panchine a praticare sport... sullo
smartphone.
Ecco, in questo penso ci sarebbe molto
da imparare e far capire a media, giornalisti e tv sempre pronti ad osannare e
incensare attori, cantanti o calciatori, famosi non per la modestia,
disponibilità, il numero di record e di gare vinte ma per la loro presunzione o
quantità di tatuaggi e veline al fianco in cerca di notorietà.
Quel ragazzino che si faceva di corsa
10km all’andata e altrettanti al ritorno per andare a scuola con i libri sotto
il braccio (e da allora per istinto ha conservato la sua famosa postura durante
le gare) di strada ne ha fatta tanta, in tutti i sensi.
Per chi non l’ha conosciuto questo è un
mio piccolo tributo, per gli altri, penso, un ringraziamento per le emozioni
che ci ha regalato.
Ora posso scriverlo 1994-2015:
ventun’anni dopo missione compiuta!
MILANO 12 APRILE 2015
grazie Fausto, per lo spazio.Quando ieri ho telefonato ad Haile per fargli gli auguri di buon compleanno (due giorni dopo il mio) gli ho anticipato qualcosa sul racconto.Quando ripassa tra vent'anni ha detto che viene a salutarmi... alla casa di riposo!facciamo un'altra foto... paolo
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